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La casa del diavolo

Opera non certo raffinata, ma molto meno grezza di quanto era prevedibile aspettarsi, "La casa del diavolo" si segnala come film intelligente e sanguigno nel suo voler essere a tutti i costi "borderline"

La casa del diavolo

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Lo sceriffo Wydell (William Forsythe) è finalmente riuscito ad incastrare la famiglia di maniaci assassini che ha ucciso suo fratello, e la tiene in scacco attanagliata nella sua “casa degli orrori”, una fattoria semi-abbandonata. Dalla cruenta sparatoria che segue al loro accerchiamento riescono a scappare tre membri del gruppo, i due fratelli Baby (Sheri Moon Zombie) e Otis (Bill Moseley), ed il padre Capitan Spaulding (Sid Haig). I fuggiaschi ben presto iniziano a seminare morte e sangue lungo il loro cammino, nell’intento di arrivare al nascondiglio sicuro di un loro vecchio complice. Ma lo sceriffo Wydell, ormai accecato dall’odio e dalla pazzia, ha deciso di sterminare tutti i componenti dell’orrenda famiglia, ed insieme ad un gruppo di malviventi si lancia sulle loro tracce…   

Seguito ideale dell’esordio di Rob Zombie, “La casa dei 1000 corpi” (House of 1000 Corps, 2003), questo lungometraggio segna un deciso passo avanti nella carriera di regista del “losco figuro”. Se infatti il suo esordio aveva alcune potenzialità visive poggiate su una storia che invece risultava praticamente inesistente, questo secondo “La casa del diavolo” dimostra fin da subito di possedere idee molto più precise e compiute, sia nella scrittura cinematografica che nell’idea di messa in scena. Strizzando esplicitamente l’occhio ai grandi cult “contestatori” di fine anni ’60 ed inizio ’70 del cinema americano, il film propone con audace sarcasmo una re-interpretazione di questa famiglia di serial-killer in chiave anarchica e se vogliamo “liberatoria”, ribaltando nel corso della pellicola i ruoli di buoni e cattivi. Sotto questo punto di vista, la trama principale dimostra di essere stata molto più “scritta” del precedente lavoro, con addirittura l’aggiunta di siparietti  comico-grotteschi che possiedono una loro macabra efficacia: la storia procede quindi secondo una sua coerenza, riuscendo con una trama ben scandita e confondere ben presto il confine che separa il bene ed il male (o meglio, il male da uno peggiore…). La regia di Rob Zombie, anche s forse in alcuni momenti un po’ troppo insistente su determinate scelte stilistiche, si dimostra però molto più accurata di quanto ci si aspettasse; il regista allestisce una messa in scena che punta, oltre che sulle sempre efficaci scenografie “sporche” di questo filone di horror/slasher, anche su una serie di trovare visive molto retrò e per questo furbescamente simpatiche; insomma, nella sua realizzazione il film possiede una certa vitalità espressiva, capace a mio avviso di soddisfare gli manti più accaniti del genere ma anche una parte di spettatori con preconcetti.

Opera non certo raffinata, ma molto meno grezza di quanto era prevedibile aspettarsi, “La casa del diavolo” si segnala come film intelligente e sanguigno nel suo voler essere a tutti i costi “borderline”.  Spettacolo per stomaci forti, senza dubbio, ma non per questo pellicola da sottovalutare. Comunque, molto meglio di un neo-cult gratuito come il recente “Hostel” (id., 2006).