NOTIZIE

Jane Fonda in Five Acts, la storia contemporanea del cinema (e non solo) nel documentario sulla grande attrice

Dopo averci raccontato Steven Spielberg, di nuovo Susan Lacy punta l'obiettivo su una icona moderna di Hollywood. E fa centro.

15.05.2018 - Autore: Mattia Pasquini, dal Festival di Cannes
"Da quali paesi viene la maggior parte di voi?" Chiede Jane Fonda, ed è un coro di Spagna, UK, Italy… "Da dovunque veniate - continua, - stiamo fronteggiando una crisi davvero terribile proprio in questo momento. Dobbiamo essere forti, dobbiamo amarci gli uni con gli altri, restare uniti, credere che democrazia e libertà siano possibili e opporci ai tiranni. Sarà molto duro. Grazie per essere qui. Stay Strong!". Sono le ultime parole che la sentiamo pronunciare dopo due ore passate ad ascoltarla parlare di sé nel documentario Jane Fonda in Five Acts di Susan Lacy (Spielberg) presentato al Festival di Cannes nella sezione Cannes Classic.

[GLI 80 ANNI DI JANE FONDA: DIECI RUOLI DI UNA LEGGENDA DI HOLLYWOOD]

E la sezione deputata alla riscoperta di grandi classici, per una volta si rivela perfetta anche per una produzione moderna, che con la Hollywood che fu e il Grande Cinema ha molto a che fare. Nei cinque atti raccontati sullo schermo, infatti, vediamo alternarsi immagini di repertorio e aneddoti incredibili sulla vita della protagonista di giornata e di molte delle stelle che hanno attraversato la sua vita. A partire dal padre, Henry Fonda, al quale è dedicato il primo atto, necessaria e inevitabile premessa nella quale iniziamo a scoprire segni e ferite che la ottantenne due volte Premio Oscar ha portato con sé a lungo.



Un padre assente, fedifrago, con il quale è sempre stato difficile relazionarsi, stabilire un legame non solo familiare. Almeno fino al 1981, sul set di Sul lago dorato quando la Fonda scelse di tendere una sorta di trappola emotiva al genitore, alla sua ultima interpretazione e un anno prima della sua scomparsa. Una figura paterna che in qualche modo - come spesso accade - ha condizionato tutti i suoi successivi rapporti, con il maschile in generale e con se stessa.

È tutto sullo schermo, con incredibili onestà e trasparenza: i disturbi alimentari, la scuola di Lee Strasberg, il rifiuto della propria immagine e il desiderio di rovesciarla. Magari anche gettandosi tra le braccia del magnetico Roger Vadim e spogliandosi nuda - dopo essersi ubriacata di Vodka - per la scena iniziale di Barbarella. E poi, ancora, dedicandosi a una vita diversa da quella cui l'avevano abituata i suoi genitori, una vita meno che normale, durante gli anni con Tom Hayden e della 'Hanoi Jane' attivista politica.



Gli uomini della mia vita e come vivere senza di loro avrebbe potuto intitolarsi il documentario (o magari 'La signora e i suoi mariti' se non si fosse rischiato di confondere gli spettatori sull'oggetto dello stesso), che dedica i successivi tre atti proprio agli uomini che l'hanno accolta, accompagnata, aiutata a trovarsi, ognuno con le proprie particolarità ed eccessi. Come emerge dalla ricostruzione affidata alle testimonianze dei diretti interessati e degli amici Robert Redford, Lily Tomlin e Paula Weinstein, che culmina con il suo "ex marito preferito", Ted Turner.

L'uomo per il quale avrebbe lasciato il cinema, proprio dopo il suo momento d'oro, quello di Sindrome cinese e Dalle 9 alle 5... orario continuato (prodotto poi in versione televisivo per ampliare il pubblico di quell'antesignano della lotta per la parità delle lavoratrici), ma anche delle lezioni di aerobica che ce la presentarono diversa, una volta di più, e che la imposero a tutto il mondo come nemmeno lei si sarebbe aspettata.

[ROBERT REDFORD E JANE FONDA INNAMORATI A VENEZIA]

Ecco, se qualcosa resta alla fine della visione, al di là dell'aneddotica, è sicuramente questa infinita irrequietezza dell'artista. E prima ancora della donna, continuamente in bilico tra il rifiuto e il bisogno, tra l'indipendenza e il suo contrario, tra l'adattamento e l'insofferenza… Dicotomie che nell'ultimo atto vediamo risolte, o quasi, nella riconciliazione con il proprio passato e con il suicidio della madre e nella realizzazione della nostra protagonista attraverso la solidarietà e il movimento femminile (più che femminista). Naturale evoluzione del desiderio di giustizia che l'ha sempre accompagnata e della necessità di trovare il proprio spazio, lo specchio che le restituisse una Jane accettabile. Quella che oggi continua a sorprenderci e a offrirsi come esempio, e che speriamo lo faccia ancora a lungo.