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Il fascino discreto di un uomo qualunque

Scoperto da Kenneth Lonergan in "Conta su di me", portato al successo da Jane Campion in "In the Cut", Mark Ruffalo si consacra attore magnetico con "Zodiac" di David Fincher

Mark Ruffalo

02.07.2007 - Autore: Gabriele Marcello
  Quel volto un pò asimmetrico, quel corpo un po’ tozzo, quello sguardo diviso tra l’ambiguo e il rassicurante sono state le carte vincenti di un attore che nel giro di pochi anni è divenuto emblema del magnetismo cinematografico, guadagnandosi un paragone illustre come  “neo” Marlon Brando. Signori e signore stiamo parlando di Mark Ruffalo.

Nato nel 1967 nel Winsconsin, da una famiglia di origini italiane (di seconda generazione), dove il padre è costruttore e la madre parrucchiera e stilista, il piccolo Mark viene allevato con molto amore assieme alle sorelle e al fratello. Dopo aver trascorso l’adolescenza in Virginia, tra le campagne sterminate, si trasferisce con tutta la famiglia prima a San Diego e poi a Los Angeles. Nella “mecca” del cinema, il giovane Ruffalo studia presso la prestigiosa Stella Adler Conservatory, dove si diploma a pieni voti come attore e diviene, successivamente, co-fondatore dell’Orpheus Theater Company. Nella compagnia,oltre a recitare, Ruffalo dirige e scrive svariate piece che ottengono un ottimo plauso da parte della critica. Ma la gavetta è più lunga del previsto e l’attore, per poter pagare l’affitto e mangiare, lavora instancabilmente come barman.

Solo intorno alla fine degli anni novanta il cinema sembra accorgersi di lui e arrivano le prime particine come  quella di The Dentist nel 1996 e Cavalcando con il Diavolo nel 1998, uno dei peggiori film di Ang Lee, ambientato nel lontano west. Intanto nel 2000 sposa l’attrice Sunrise  Coigney, che lo renderà padre di due bambini: Keen e Bella.  L’unione con lo sceneggiatore Kenneth Longenar sarà fruttuosa.

Dopo svariati esperimenti  e collaborazioni, Ruffalo interpreta il suo primo film da regista: Conta su di me (2001). Il film viene presentato al Festival di Venezia  e ottiene critiche entusiaste, e il mondo inizia ad accorgersi dell’attore che, con una splendida recitazione sottotono, interpreta il fratello di Laura Linnley. Questa interpretazione gli vale il Los Angeles Film Critics Association e Montreal World Film Festival.   Ma il destino a volte sembra davvero beffardo e crudele: un anno dopo gli viene diagnosticato un tumore al cervello. Ruffalo si opera ma per breve tempo è colpito da una paralisi facciale. Fortunatamente il tumore è benigno e, in brevissimo tempo, l’attore riesce a rimettersi in forma per una delle sue prove più convincenti: Il detective Malloy di In the Cut.

Jane Campion ha sempre avuto la fama di essere una regista che sa scegliere e valorizzare alla perfezione gli attori e con Ruffalo  vince una scommessa importante: renderlo spregevole, ma, allo stesso tempo, un nuovo oggetto del desiderio. Con un paio di baffetti e le mani , a suo dire, da checca, il detective Malloy di Ruffallo fa capitolare una sprovveduta Meg Ryan, che cerca un nuovo battezzo sessuale, in una New York da incubo. Rude, maschilista e maschio come pochi, Ruffalo diviene indimenticabile nel momento in cui si “lascia cavalcare” dalla titubante Franny, sussurrandole all’orecchio “I want  to fuck you in the cut”. A torto, il film non viene capito, ma la carriera dell’attore è oramai lanciata nell’empireo dei nuovi volti, tanto che il regista John Curran lo vuole immediatamente per la trasposizione della piece di Andre Dubus We don’t live anymore, tradotta in italiano con I giochi dei grandi. Il film si inserisce sulla scia tracciata da Closer di Nichols, sebbene ne sia inferiore, ovvero il classico dramma da camera tutto dialoghi e sguardi. Anche stavolat Ruffalo regala una interpretazione da manuale; nelle vesti di uomo inutile e meschino che cornifica la moglie Laura Dern con la bella e bionda Naomi Wats.

Il genio francese Michael Gondry lo vuole per un piccolo ruolo nel suo gioiellino Se mi lasci ti cancello, accanto a Kate Winslet e Jim Carrey. Il film riscuote un incredibile successo di critica ed un Oscar per la sceneggiatura, ma il pubblico sembra ignorarlo, mentre accorre in massa per la prova che regala nello sperimentale Collateral di Michael Mann. Con pochi sguardi e i capelli rasati l’attore è talmente straordinario da offuscare una star di prima grandezza come Tom Cruise.

I suoi film successivi sono da ascrivere alla lista dei “dimenticabili a tutti i costi”; l’attore infatti sceglie due commediole insipide come   30 anni in un secondo e Se solo fosse vero. Nulla da dire sul solido lavoro recitativo, ma stavolta manca la parte di spessore, quella che in una commedia è fondamentale per farsi ricordare. Un po’ meglio va con Vizi di Famiglia, l’improbabile sequel de Il laureato, in cui recita accanto a Kevin Costner e Shirley Maclaine. Il film è scritto su misura “dell’amica” di tutti Jennifer Aniston, in cerca di quel lancio definitivo e consacrante che non sembra mai arrivare dopo Friends e il divorzio da Brad Pitt. Ruffalo risulta, nei panni del fidanzato della Aniston, credibile e simpatico.

Sulla carta sembrava un film da capogiro, di quelli che acchiappano Oscar e premi vari a man bassa e che concilia impegno con grande spettacolo, ma Tutti gli uomini del re è senza dubbio uno dei peggiori film girati negli ultimi anni. Non bastano una scenografia impeccabile, una colonna sonora rutilante e l’America degli anni trenta a fare del film un capolavoro. Ed è un peccato vedere Ruffalo, Kate Winslet e Sean Penn districarsi come meglio possono in parti scritte male. Lui e la Winslet sono due fratelli uniti da un legame morboso e coinvolti nei traffici politici del politico “zotico” Penn, e risultano i più convincenti e bravi.

Sulle tracce di un assassino che uccide coppiette nella San Francisco degli anni settanta, ecco arrivare la migliore interpretazione dell’attore, quella dell’ispettore David Toschi nel convincente Zodiac di David Fincher. Con un trench sdrucito e il capello riccio, Mark Ruffalo omaggia  il Colombo di Peter Falk, aggiungendo un misto di dolore e inquietudine  che fanno del suo ruolo una pietra miliare dell’arte dell’attore.

Occhi bassi, caffè a portata di mano e una famiglia che si sfascia sono le prerogative di un personaggio che Ruffalo cesella con straordinaria abilità.