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I 50 anni di Gangster Story: dieci ragioni per rivederlo ancora oggi

Il capolavoro di Arthur Penn uscita il 13 agosto 1967. Ma è ancora attualissimo

12.08.2017 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Il 13 agosto 1967 usciva nei cinema USA Gangster Story di Arthur Penn. Cinquant'anni dopo, il film è ancora considerato uno dei capolavori del gangster movie e uno dei più memorabili film della New Hollywood. Una pietra miliare nella rappresentazione della violenza al cinema e una tragica storia d'amore con cui è possibile simpatizzare nonostante le premesse estreme. Ecco dieci ragioni per rivedere ancora oggi il film di Penn, che lanciò le carriere di Warren Beatty e Faye Dunaway col botto.

 
L'alchimia tra i protagonisti. Poche coppie del grande schermo sono iconiche come Warren Beatty e Faye Dunaway in Bonnie and Clyde (questo il titolo originale). Nonostante si parli di due rapinatori che non esitano a uccidere poliziotti e civili quando braccati, la loro alchimia è talmente forte da vendere alla perfezione la storia d'amore magnetica tra due dei più famosi criminali della storia. E rende molto bene anche la concezione popolare dei due, considerati quasi dei “Robin Hood” per la loro tendenza a rapinare le banche, viste come gli agenti del male nella Grande Depressione americana.
 
Warren Beatty. In ambito di gangster affascinanti, Warren Beatty è lassù con i più grandi. Nonostante il suo Clyde Barrow ammazzi a destra e a manca, è impossibile non tifare per lui e quell'aura da spaccone irriverente e irresistibile.
 
Faye Dunaway. Bellissima, bravissima e sensuale. Faye Dunaway non ricorderà molto la vera Bonnie Parker, ma una cosa è certa: è uno spettacolo da ammirare per tutta la durata del film. E non poteva che diventare una star.

 
Il cast di comprimari. Gene Hackman interpreta il fratello di Clyde, Buck, e già si intravede il grandissimo attore che diventerà di lì a poco. Anche Michael J. Pollard nei panni di C.W. Moss è perfetto, mentre il cameo di Gene Wilder nel ruolo di un uomo rapito con la sua ragazza dalla gang è un controcampo esilarante in una scena sul filo del rasoio tra comicità e tensione.
 
La violenza. Il sangue sgorga nel film. Clyde, all'inizio del film, spara in faccia a un uomo che cerca di fermare la loro auto. Il finale è ancora oggi un pugno nello stomaco. È palese quanto il cinema non sarebbe stato lo stesso se non ci fosse stata la New Hollywood a fare piazza pulita di ogni tabù. Gangster Story è ancora oggi un film attualissimo in tema di rappresentazione della violenza.
 
Il sesso. L'altro grande tabù affrontato è quello della rappresentazione del sesso. Non ci sono nudi, nel film, ma la carica erotica tra Bonnie e Clyde è forte ed evidente. E c'è persino una scena in cui si accenna in maniera esplicita a una fellatio. Cinquant'anni fa, ricordiamolo, non era una cosa tanto comune né scontata, né tantomeno accettata.

 
Il 1967, che anno. Gangster Story sarà anche ambientato negli anni '30, ma è figlio degli anni in cui fu girato. Il 1967 rappresenta l'alba della cultura hippie e della rivoluzione sessuale e di costume. Il film di Penn ne è la perfetta metafora: dopotutto racconta la fuga di due giovani dalla routine e dal vecchiume di un'America depressa, la voglia di essere liberi e lasciarsi il passato alle spalle. Non a caso la prima vittima di Clyde è un anziano. Come in Easy Rider, ovviamente bisogna pagare un prezzo salato per la libertà.
 
Il tono è perfetto. Si diceva della storia d'amore, romantica e tragica allo stesso tempo. Ma anche il resto del film si muove in equilibrio tra dramma e commedia. A far funzionare il tutto sono i rapporti perfettamente delineati tra i personaggi: soprattutto quello giocoso tra i fratelli Barrow e quello di rivalità tra le loro donne, Bonnie e Blanche (Estelle Parsons).
 
Arthur Penn. Più avanti avrebbe diretto Piccolo grande uomo e Missouri. Gangster Story è comunque un western, tanto quanto quei due. È la visione di un'America ormai scomparsa, tra paesini che sembrano ancora quelli del vecchio West ma con le case in mattoni, e l'emergere dei primi prodotti di largo consumo (si cita esplicitamente la “Dr. Pepper” in una scena). E Penn coglie tutto con enorme lucidità, raccontando il fascino e le contraddizioni di un Paese pieno di grande voglia di crescere ma percorso da una violenza sotterranea inquietante. Una lezione di asciuttezza che andrebbe sempre tenuta presente.

 
I premi. Il film ha vinto due Oscar – uno a Estelle Parsons, come migliore attrice non protagonista, l'altro alla fotografia di Burnett Guffey – e anche due David di Donatello a Faye Dunaway e Warren Beatty.