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I 40 anni di Incontri ravvicinati del terzo tipo: dieci ragioni per rivederlo

Usciva il 16 novembre 1977 il capolavoro di Steven Spielberg. Ecco perché è più che mai attuale

Incontri ravvicinati del terzo tipo

15.11.2017 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Da noi giunse il 3 marzo 1978, ma in America uscì il 16 novembre 1977. Quarant'anni fa. Incontri ravvicinati del terzo tipo resta uno dei massimi picchi (come il picco del Diavolo) nella filmografia di Steven Spielberg e uno dei più grandi “film di alieni” di sempre. Una poesia di immagini e scrittura, una favola ottimista che ha cambiato il volto della fantascienza al termine di un decennio cupo e paranoico come gli anni '70. Lo festeggiamo elencando dieci ragioni per cui, ancora oggi, va scoperto e riscoperto.

 
È (forse) il miglior film di Spielberg. In una filmografia come quella di Steven Spielberg è difficile trovare il film migliore. Basti pensare che poco prima aveva diretto Lo squalo, poco dopo ci avrebbe presentato Indiana Jones ed E.T. Ma Incontri ravvicinati del terzo tipo è forse il suo capolavoro: è un film dal rigore formale ineccepibile, snello, che va dritto al punto ed emoziona senza ricorrere a nessun trucco da lacrima facile. È perfetto nella parabola che racconta e, come vedremo, ci lascia anche con un messaggio importantissimo.

 
Una nuova era di alieni al cinema. Prima di Incontri ravvicinati, gli alieni al cinema erano quasi sempre invasori. Nelle poche occasioni in cui questo non avveniva, come ad esempio Ultimatum alla Terra, si trattava comunque sempre di allegorie o moniti sulla natura umana, la violenza e la guerra che rischiavano di portarci alla catastrofe. Incontri ravvicinati fu invece uno spartiacque, sia nella rappresentazione degli alieni (per la prima volta i famosi “grigi” apparivano sullo schermo), sia nel modo in cui trattava il cosiddetto “primo contatto”, il momento in cui la razza umana incontra una specie aliena. Non c'è necessariamente la volontà di proiettare nei “visitatori” le caratteristiche degli umani, ma proprio quella di mettere a confronto noi e l'ignoto in modo, per una volta, costruttivo e ottimista.

 
Le musiche. Chi, almeno una volta nella vita, non ha fischiettato il tema in cinque note di John Williams guardando le stelle e sperando in un contatto? Un tema entrato di diritto nella Top 5 dei più memorabili di sempre. Da pelle d'oca ogni volta che lo sentiamo.

 
Pinocchio. Incontri ravvicinati è una favola, prima di tutto. Spielberg lo sottolinea con intelligenza inserendo riferimenti a Pinocchio: Roy Neary, il protagonista, ama il cartone Disney e John Williams inserisce stralci di “When You Wish Upon a Star” nella colonna sonora. È il cuore della poetica del primo Spielberg: solo chi ha mantenuto il contatto con il bambino dentro di sé può vedere le cose meravigliose. Roy è un bambinone ed è per questo che ha un rapporto privilegiato con gli alieni come il piccolo Barry.

 
Richard Dreyfuss. L'alter ego di Spielberg nei primi film, qui Richard Dreyfuss brilla di luce propria nel ruolo dell'everyman Roy Neary. Ci conquista subito e ci identifichiamo in lui, il matto che invece è l'unico barlume di ragione in un mondo che ha dimenticato ogni ambizione.

 
François Truffaut. Il grande regista francese sarebbe morto pochi anni dopo. Questo è il suo penultimo ruolo da attore. La sua presenza basta a mettere fine a qualunque diatriba su “il cinema d'autore francese è meglio del cinema americano”. Truffaut amava Spielberg e lo riconosceva come suo pari.

 
Carlo Rambaldi. Pochi anni dopo avrebbe creato lo Xenomorfo di Alien ed E.T., entrando nella storia. Ma l'italiano Carlo Rambaldi ha anche realizzato l'alieno che “saluta” Truffaut nella scena finale. Un momento toccante che, con un effetto speciale meno riuscito, non avrebbe funzionato altrettanto bene.

 
Abduction. Una delle più intense scene del film è quella in cui Barry (Cary Guffey, il bambino di Uno sceriffo extraterrestre) viene rapito nella sua casa di campagna davanti alla madre impotente. È un momento decisamente horror e sta a dimostrare come, all'epoca, nessuno eguagliasse Spielberg nella sua capacità di saltare con facilità da un registro a un altro, infilando scene inquietanti in un film che per il resto non lo era. Come in E.T., per dire. Film emozionanti, film per tutti, ma mai rassicuranti al cento percento.

 
Il finale. L'apoteosi finale, l'incontro con gli extraterrestri all'ombra della Devils Tower in Wyoming, è uno dei grandi momenti non solo del cinema di Spielberg, ma del cinema di fantascienza e del cinema in assoluto. Un climax perfetto in cui tutta la carica emotiva si scatena ed esorcizza. Vederlo da bambini può essere un tour de force: c'è la curiosità ma anche la paura dell'ignoto, tutte condensate in alieni non certo carini (ancora, come in E.T.) ma che riescono a conquistarsi il nostro affetto.


È più che mai attuale. L'umanità non sembra capace di imparare a non odiare. Ancora oggi, continuiamo a minacciarci con lo spettro della guerra, non troviamo un modo per aprire un dialogo duraturo e fruttuoso. Vedere un film come Incontri ravvicinati, in cui tutte le forze che normalmente associamo al cinema di spionaggio – agenti segreti, esercito – si muovono per imbastire un enorme e storico cocktail di benvenuto, è qualcosa che può ancora ispirarci a fare del nostro meglio per rendere il mondo un posto un po' più vivibile.