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I 30 anni di Willow, alla riscoperta del fantasy prodotto da George Lucas

Il film di Ron Howard usciva in USA il 20 maggio 1988

Willow

18.05.2018 - Autore: Marco Triolo
Il 20 maggio 1988 usciva in USA Willow, il fantasy di Ron Howard e George Lucas che ora compie dunque trent'anni. Nato da un'idea sviluppata da Lucas addirittura nel 1972, Willow non fa che confermare un dato ovvio: la saga di Star Wars non è fantascienza, ma un fantasy ispirato al Signore degli anelli di Tolkien.

 
Che c'entra Willow, direte voi? Beh, tanto per cominciare, sapendo che Lucas lo ha immaginato nel 1972, ovvero ben prima di dirigere il primo Guerre stellari, possiamo capire cosa passasse nella testa dell'autore a quel tempo. È chiaro che la fantasia di Lucas volava tra mondi impossibili, popolati di cavalieri, nani e stregoni, mondi che avrebbe successivamente proiettato, in versione futuristica, nella classica trilogia di Star Wars. Terminata la lavorazione di quello che, allora, era facilmente considerato il capitolo finale di quella storia, Il ritorno dello Jedi, Lucas tornò a Willow. E il destino volle che il regista perfetto fosse a portata di mano.
 
Ron Howard, lo ricordiamo, aveva iniziato come attore e, prima di diventare famoso con Happy Days, aveva interpretato Steve in American Graffiti di Lucas. A metà anni '80, Howard stava lavorando alla post-produzione di Cocoon presso l'Industrial Light & Magic, la compagnia di effetti speciali di Lucas. Che dunque colse l'occasione per proporgli la regia di Willow. Detto, fatto: anche Howard stava cercando un fantasy da dirigere.

 
Passo indietro. Nel 1982, sul set de Il ritorno dello Jedi, Warwick Davis stava interpretando l'Ewok Wicket quando Lucas lo prese da parte e gli propose Willow. Lucas ha dichiarato che stava cercando proprio un nano per il ruolo, perché “Un sacco di miei film parlano di un tipo piccolo che si scontra con il sistema, e questa non era altro che un'interpretazione più letterale dell'idea”.
 
Di fatto, Willow è una rielaborazione degli scritti di Tolkien in salsa più infantile. Ci sono elementi presi di peso sia da Il signore degli anelli che da Lo Hobbit (e non a caso parte delle riprese si svolsero in Nuova Zelanda, anticipando Peter Jackson di una quindicina d'anni). Ma in fondo tutte le storie di eroi improbabili calati in un mondo più grande di loro sono simili, Star Wars compreso. Willow Ufgood è come Luke Skywalker: deve partire per un viaggio per salvare il mondo e, contemporaneamente, mettere alla prova se stesso. La strega Bavmorda ricorda sia Sauron che le streghe cattive delle fiabe, e l'inizio, con la strega che fa imprigionare tutte le donne incinte del regno per impedire che nasca la bambina che la spodesterà, si piazza fermamente a metà strada tra Biancaneve e il Vangelo. E la “fuga” di Elora Danan sul fiume rimanda addirittura a Mosè. Mitologie che si incontrano in una storia universale: ecco perché Willow funziona così bene.

 
Ma non è l'unica ragione. Il cast messo insieme da Howard e Lucas va a gonfie vele, e si muove con agilità attraverso i vari toni toccati dal film – dalle parentesi più tetre ai momenti di commedia leggera. Davis è semplicemente perfetto, ma ci si affeziona molto anche a Madmartigan, lo scavezzacollo di Val Kilmer (praticamente lo Han Solo della situazione). Tra parentesi: proprio su questo set Kilmer incontrò la sua futura ex moglie Joanne Whalley, che interpreta la guerriera Sorsha.
 
Willow passò alla storia anche per un altro motivo: è un importante passo avanti nello sviluppo dei moderni effetti speciali. Per rendere le trasformazioni in animali della maga Fin Raziel, il team della ILM guidato dallo specialista Dennis Muren sperimentò una tecnologia digitale nuova: il morphing. La CGI si stava facendo lentamente strada nel mondo degli effetti speciali, e Willow aprì nuove porte in questo senso.

 
Trent'anni dopo, è ancora un piacere rivedere Willow. Un film semplice, figlio di un'epoca più ottimista, almeno al cinema, in cui buoni e cattivi erano nettamente divisi e il bene trionfava (quasi) sempre. Un classico che si merita di essere riscoperto e amato.