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Ewan McGregor su American Pastoral: "Fare il regista significa gestire le paure di tutti"

L’attore scozzese a Roma per presentare il film tratto dall’omonimo romanzo di Philip Roth
   

Ewan McGregor

Ewan McGregor

03.10.2016 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
Ewan McGregor dirige per il cinema di American Pastoral, lavoro che uscirà il prossimo 20 ottobre e tratto dal romanzo culto di Philip Roth per il quale lo scrittore statunitense ha vinto il Premio Pulitzer nel lontano 1998. Per McGregor si tratta quindi di un’eredità importante con la quale misurarsi; soprattutto per esordire in una prima prova da regista. Proprio lui che nel film recita nel ruolo del protagonista, ovvero Seymour Levov detto Lo svedese. A Roma McGregor è arrivato per presentare alla stampa il film in compagnia della co-protagonista: l'attrice Jennifer Connelly. Ecco cosa ci ha raccontato.
 
McGregor come ha scelto le due attrici che dovevano interpretare il ruolo di Merry Levov giovane e giovanissima prima che lo facesse l’attrice Dakota Fanning?
 
E.M.: Sì, avevamo bisogno di tre attrici per il personaggio di Merry che coprissero il ruolo che va dagli 8 anni ai 16, quando poi subentra invece Dakota. Di Dakota eravamo ovviamente sicuri ma ci mancavano gli altri due ruoli. E dovevo scegliere qualcuna che le assomigliasse. Nel processo abbiamo ricevuto molti nastri di provini, alcuni davvero inquietanti perché vedi ragazzine di 7 anni che si comportano come adulte. Alla fine abbiamo scelto Hannah Nordberg per il ruolo della dodicenne Merry. Lei è stata sorprendente. Prima di sceglierla, con le cinque ragazze finaliste abbiamo fatto delle letture preventive. Io volevo qualcuna che leggesse il copione in maniera diversa. Mentre le altre rimanevano molto rigide sulla parte Hannah si è invece distinta in questo senso. E la prima scena che abbiamo girato insieme è quella del weekend sul fiume, che è molto importante
 
 
Jennifer Connelly, com’è stato invece ballare con David Bowie in Labyrinth? Cosa ricorda di quella scena?
 
J.C.: Ero agitatissima perché non avevo mai fatto danza ed ero con quell’abito che mi inibiva tantissimo. Nella scena dovevamo camminare indietro e per giunta dovevo farlo con uno come David Bowie. Ma lui è stato meraviglioso, gentilissimo, scherzava molto ed è diventato assolutamente il mio eroe soprattutto per come si è comportato e per come mi ha aiutato nella scena
 
 
 
McGregor ci racconta qualcosa di questa esperienza da regista? E quanto per lei e per l’attrice Jennifer Connelly ha influito il fatto di essere genitori?
 
E.M.: É stato un evento focale nella mia vita. Volevo farlo da anni e avevo riposto tantissime speranze nell’affrontare questa sfida. Sono stato quindi coinvolto in conversazioni creative con tutti i lavoratori del film: dallo sceneggiatore fino ad arrivare alla post-produzione e al montaggio. Ci sono stati contatti con figure che già conoscevo ma in altro modo, rispetto al lavoro da attore. Dalla costumista al direttore della fotografia. Rapporti che mi hanno arricchito e poi ho avuto modo di scoprire il lavoro sugli attori e ho poi deciso che avremmo costruito le scene tutti insieme. Non potrei essere più felice dell’esperienza che ho fatto. Ho scoperto anche tutti quegli aspetti dai quali gli attori sono tenuti all’oscuro, protetti. Non so per esempio i litigi tra la troupe e il rapporto con il produttore. Per questo ho scoperto che buona parte del lavoro del regista è gestire le paure degli altri. Mi sento quindi più maturo ora. Infine, la tua vita è quello che riesci a rubarle per fare film. Quindi essere padre mi ha influenzato molto
 
J.C.: Il personaggio di Dawn non mi somiglia come persona o come madre. Ma ero molto curiosa e attratta da lei come personaggio. Mi piace passare del tempo con personaggi diversi da me proprio per capire punti di vista differenti. Provo compassione per lei e mi ha commosso il suo rapporto con la figlia
 
McGregor, tra i tanti registi con i quali ha lavorato, uno su tutti Danny Boyle, a chi pensa di avere rubato un po’ il mestiere? 
 
E.M.: Ventiquattro anni di questo lavoro mi hanno permesso di lavorare con i più grandi e meno bravi registi. Da tutti prendi qualcosa. L’attore è un privilegiato perché vede il lavoro di più registi e persone diverse. Non credo ci sia un modo di farlo che sia giusto o sbagliato ma con Danny ho iniziato e lui mi ha definito come attore dal lavoro fatto su Piccoli omicidi tra amici fino a Trainspotting. É stato importante perché prestava attenzione al mio lavoro e questa è davvero una grande forma di riconoscimento. Il lavoro di un film è una collaborazione e credo nella magia che si ritrova nel ciak. Questo film esplora una parte di generazione americana, quella del dopoguerra, che entra in rotta di collisione con quella dei figli. Una generazione che invece si radicalizza molto
 
McGregor, visto che nel film si parla di sogno americano lei da chi crede che esso sarà portato avanti nelle prossime elezioni statunitensi; da Donald Trump o da Hillary Clinton?
 
E.M.: Chiedo scusa ma io sono scozzese, non posso rispondere
 
McGregor, lei avrà avuto una ragione profonda per affrontare un romanzo così importante. Ci può dire perché ha voluto proprio Pastorale americana?
 
E.M.: L’ho detto è una romanzo incredibile, che tra l’altro non avevo letto e mi sono approcciato a esso prima con l’adattamento di John Romano. La sua sceneggiatura mi ha talmente commosso che mi sono subito appassionato a progetto. Ho quattro figlie femmine e il fatto che la storia parli di una perdita così estrema mi ha in qualche modo sopraffatto
 
McGregor, può dirci qualcosa di più sul ritorno di Trainspotting?
 
E.M.: Trainspotting lo abbiamo girato quest’estate e sono stato contento di ritrovarmi con Danny e il resto del cast per questo progetto