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Eravamo quattro amici al bar...

"Ma io non potevo entrare", ci avverte subito Pupi Avati che nel suo ultimo film, "Gli amici del bar Margherita", racconta di quei 'vitelloni' bolognesi che lui, allora adolescente, guardava con invidia e fierezza. Dal 3 aprile nei cinema.

Eravamo quattro amici al bar...

30.03.2009 - Autore: Nicoletta Gemmi
Nel 1954 Pupi Avati aveva 16 anni e abitava a Bologna, di fronte al Bar Margherita, che si trovava in Via Saragozza. Ora, con questo suo nuovo film, il prolifico regista, scatta una fotografia dell’epoca e di quel gruppo al testosterone che frequentava quel posto mitico.

Avati nel suo film il protagonista è Taddeo, da tutti chiamato ‘coso’, è lei quel ragazzino?
Certo, sono io. E il suo non stare dentro la fotografia, significa l’avere raccontato il mondo degli avventori del Bar Margherita con uno sguardo esterno, dato che io a quell’età non ero ammesso in quell’universo. E’ la piccola metafora dell’allontanarsi per potere vedere e raccontare.

Chi erano i frequentatori del Bar Margherita che tanto attiravano la sua attenzione?
Un gruppetto di disgraziati, fanfaroni, perdigiorno, donnaioli. Era un posto tanto affascinante, tenero quanto crudele. Chiaramente io, con gli occhi di un ragazzino, l’ho mitizzato.

Ha nostalgia della gioventù?
Io vivo di una nostalgia crescente. Gli amici del bar Margherita è anche un inno alla giovinezza; ad una giovinezza che non ritrovo più nella società di oggi. Ai miei tempi pensavamo solo a divertirci, contavamo poco o nulla, ma eravamo deresponsabilizzati. Oggi è molto diverso. I ragazzi sono senza prospettive anche per colpa nostra. La giovinezza è guardata con cupezza, facciamo di tutto per privare i giovani di speranza, li deligittimiamo a sognare e gli diamo un mondo vuoto, che è una scorrettezza estrema. Spero che questa operazione nostalgia faccia rinascere nell’animo di qualcuno la voglia di essere più lievi, di godersi di più, gli anni migliori della nostra esistenza.