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Effetto Revenant: DiCaprio e gli altri attori "quasi muti"

Dieci grandi film in cui i protagonisti sono silenziosi, da Tom Hanks in Cast Away a Ryan Gosling in Drive

Revenant - Redivivo

28.01.2016 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
L’interpretazione dell’attore americano in Revenant - Redidivo è l’ultimo esempio di un filone di cinema che prolifera nell’afasia. Poche parole, pochi dialoghi ma molti sguardi e movimenti di macchina, sono le caratteristiche che fanno parte di un genere visivo e narrativo dall’anima essenziale ma potente. E l’interpretazione che è valsa all’attore americano la nomination all’Oscar 2016 è un’occasione per ripercorrere quei personaggi che hanno donato al cinema un’interpretazione taciturna e controcorrente.

LEGGETE QUI LE NOMINATION AGLI OSCAR 2016.

In particolare, l’assenza quasi totale di dialoghi o il silenzio di uno dei personaggi, appare a molti come lo strumento principale per omaggiare la storia del cinema muto, oppure come scelta artistica usata per onorare il talento dei grandi attori capaci di esprimersi senza l’aiuto di una solida sceneggiatura. Altre volte ancora, esso è il mezzo per riflettere su grandi avventure che hanno al centro il rapporto tra uomo e natura. Ecco quindi 10 film da riscoprire nel nome del silenzio

 
Cast Away di Robert Zemeckis. Questo film del 2000, che ha portato sugli schermi una sorta di Robinson Crusoe moderno, deve il proprio successo all’interpretazione ‘muta’ di Tom Hanks. Naufrago tra i naufraghi, rimasto solo su un’isola deserta senza compagnia alcuna, la sua interpretazione fu segnata da un silenzio esteriore e interiore. E per dare voce al personaggio senza dialoghi l’attore americano arrivò a perdere circa 20 chili di peso. 

 
All Is Lost - Tutto è perduto di J. C. Chandor. Ancora una volta la presenza dell’uomo si annulla e si fa più piccola, in qualche modo silente, se comparata con la potenza della natura. In questo film del 2013 Robert Redford è disperso nell'Oceano Indiano a bordo di uno yacht. Anche qui pochi spazi dialogici lasciano molto terreno a un cinema di osservazione che si concentra sul corpo e sull’espressione. 

 
Ferro 3 - La casa vuota di Kim Ki Duk. Il regista coreano ha fatto della lentezza e dell’assenza di parole un vero e proprio marchio distintivo. In Ferro 3 se ne serve per raccontare la solitudine dell’animo umano, anche quando essa non è imposta dall’assenza di altre presenze in carne e ossa. Nel film solo grida, rumori, ma nessuna parola umana, calda, armoniosa pronunciata dal protagonista Jae Hee.


The Tribe di Myroslav Slaboshpytskiy. Nella pellicola ucraina a più basso numero di dialoghi, il silenzio delle parole è giustificato da una trama ambientata in un collegio di adolescenti sordomuti. Qui avvengono le peggiori violenze fisiche e psicologiche, ma la gestualità drammatica dei protagonisti è l’unico elemento che crea una sorta di tensione fisica e linguaggio espressivo. Un’opera non per tutti ma decisamente di impatto. 

 
Duello nel Pacifico di John Boorman. É il 1968 quando sullo schermo va in onda questa spietata e silenziosa ‘guerra fredda’ tra un pilota statunitense abbattuto che giunge su di un'isola in mezzo all'Oceano Pacifico, e il capitano Tsuruhiko Kuroda della marina imperiale giapponese, unico altro abitante del posto sperduto. Ma la fame e la sopravvivenza possono unire in un destino comune. Solo fino a quando le differenze culturali e di lingua non separeranno per sempre i due protagonisti che per tutta la durata del film cercheranno di comunicare in un linguaggio non prettamente verbale. 

 
Valhalla Rising - Regno di sangue di Nicolas Winding Refn. Un film del 2009 dove Mads Mikkelsen interpreta un uomo muto e con un occhio solo, tenuto prigioniero da un gruppo di vichinghi e usato come arma da combattimento contro altri uomini. Qui parla il sangue, lo scenario incontaminato e gli zigomi appuntiti di Mikkelsen. 

 
Old Boy di Park Chan-wook. Un uomo rapito senza sapere il motivo viene tenuto prigioniero per quindici anni e costretto a diventare una sorta di macchina di vendetta programmata per la nemesi. Qui i pochi dialoghi sono la regola per un viaggio nella psiche contorta e manipolata di un uomo innocente. 


 
Drive di Nicolas Winding Refn. Il film che ha consacrato il regista danese a Cannes è un noir moderno e silenzioso con protagonista Ryan Gosling. L’attore americano è un misterioso pilota di macchine che fa affari con la malavita e capace di esprimersi o a colpi di cazzotti, o di sguardi teneri nei confronti della donna che decide di proteggere (Carey Mulligan). Memorabili le sequenze di guida per la città con il sottofondo di un’ottima colonna sonora retrò.

 
Spring Breakers di Harmony Korine. Le immagini pop, scorrette e colorate parlano il linguaggio della cultura popolare, delle riviste di moda e della televisione, quindi della contemporaneità, più della recitazione di James Franco, Vanessa Hudgens e Selena Gomez. Come in un videoclip allucinatorio, le sequenze scorrono in maniera surreale e a loro modo silenziosa tessendo la struttura atipica di questo film presentato a Venezia.

 
Kids di Larry Clark. Il maestro di Harmony Korine dirige il film nel 1999 e ambientandolo nei sobborghi di New York. Opera dallo stile documentaristico, riprende un gruppo di adolescenti e bambini abbandonati, soli e protagonisti di una realtà cruda e straniante. Anche qui non c’è troppo bisogno di parole. 

 
Oltre il giardino di Hal Ashby. Peter Sellers al suo penultimo film è un giardiniere analfabeta cresciuto senza contatti con il mondo esterno e al servizio del proprio padrone. Quando quest’ultimo muore prematuramente Chance si confronterà con un mondo visto solo attraverso la televisione e con il quale farà grande fatica a comunicare, ma che per un’assurda serie di eventi lo eleggerà a icona inconsapevole e vincente. E persino le poche frasi pronunciate da Chance suoneranno come sentenze intelligenti e ironiche. Un grande film che tocca i temi della manipolazione verbale e del potere mediatico della televisione.