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Die Hard: intervista esclusiva a Jai Courtney

Da Jack Reacher a figlio di Bruce Willis, l'ascesa alla fama di una giovane rising star australiana

Die Hard - Un buon giorno per morire - Bruce Willis, Jai Courtney, Sebastian Koch

11.02.2013 - Autore: Marco Triolo
Die Hard – Un buon giorno per morire, quinto capitolo della saga di John McClane, ha sulle spalle un'enorme responsabilità. Non solo dovrà curarci dalla ferita inferta dal precedente Die Hard – Vivere o morire, ma dovrà anche introdurre la figura di John McClane Jr., alias Jack, figlio dell'eroico sbirro interpretato per la quinta volta da Bruce Willis. Viene subito in mente Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, altro film che ha regalato un erede a uno dei personaggi più iconici degli anni Ottanta.

C'è da dire che il primo passo, quello della scelta dell'attore, è stato fatto con cura: perché Jai Courtney è credibile nel look, con la sua mascella quadrata condivisa anche da sua “sorella” Mary Elizabeth Winstead (Lucy McClane nel precedente capitolo). E perché è soprattutto un attore di talento, che già ci aveva conquistati nell'intenso ruolo di Varro nella serie TV Spartacus. Da poco lo abbiamo visto in Jack Reacher (qui la nostra recensione) e l'attore australiano è in procinto di diventare realmente famoso. Di questo e ben altro abbiamo parlato nella nostra intervista telefonica con “lo 007 di Plainfield, New Jersey”, come lo definisce Willis nel film.

Die Hard Un buon giorno per morire intervista Jai Courtney - McClane padre e figlio

Da figlio degli anni Ottanta, immagino tu sia cresciuto con la saga di Die Hard. Sei un fan di John McClane e Bruce Willis?
Certo, è un franchise iconico e classico. Ho adorato i primi film.

Come ci si sente a fare ora parte della saga?
È davvero surreale e per me è una svolta enorme.

C'è una scena della saga di Die Hard che ami particolarmente?
Bella domanda. Direi una del primo film, quella in cui John incontra Hans Gruber la prima volta e Hans imita l'accento americano per fingere di essere uno degli ostaggi. Adoro quella scena!

Parlando di accenti, quanto è difficile per un attore non americano azzeccare realisticamente l'accento americano?
Credo che come ogni abilità vari a seconda delle persone, per alcuni è più facile da raggiungere, per altri meno. Nel mio caso gli accenti sono qualcosa che ho tentato di imitare sin da piccolo, quando fingevo di essere questo o quel personaggio nella mia stanza. Quindi è stato relativamente facile, ma comunque per me è fondamentale la preparazione prima delle riprese. Studio e mi riscaldo per essere sicuro che venga bene. A volte cerco di mantenere l'accento americano tutto il giorno, a volte no, dipende da come mi sento. La cosa importante, però, è impararlo bene prima di girare in modo da non pensarci poi durante le riprese. Di recente ho fatto un film in cui interpretavo un australiano e mi sono reso conto che era la prima volta che lo facevo da anni. Davvero bizzarro!

Hai detto che a volte cerchi di mantenere l'accento americano tra una ripresa e l'altra. Ti definiresti dunque un attore di metodo?
Non direi. Cerco di conservare l'energia quando possibile e spesso ciò significa dover uscire dal personaggio per rilassarmi. Trovo queste cose importanti perché a volte le giornate di lavoro sono molto lunghe. Non posso rimanere nel personaggio sempre, ma a volte aiuta mantenere l'accento perché così lo sento più naturale e immediato.

È più stressante lavorare a una serie o a un film a grosso budget?
È diverso. Con la TV la scadenza è più vicina, lavori più velocemente e devi girare molto materiale durante la settimana. È buffo perché anche se in TV lavori più duramente, questo rende l'esperienza meno stancante perché mantieni alto il livello di energia e finisci rapidamente il lavoro. Quando giri un film, al contrario, spesso ci vogliono ore per preparare il set e studiare i movimenti di macchina. Quel tempo di attesa è il più stancante, perché lavori come un matto per un paio d'ore e poi magari aspetti cinque ore senza fare niente.

Die Hard Un buon giorno per morire intervista Jai Courtney - Willis e Courtney

Hai appena fatto Jack Reacher e Die Hard, presto ti vedremo in I, Frankenstein. Stai per diventare davvero famoso. La fama è una cosa che ti spaventa o le darai il benvenuto?
Credo entrambi. È decisamente una cosa che mi spaventa un po', ma non ci penso molto. Certo, intendo raggiungere il successo e la longevità in questa carriera e in questa industria, ma la fama è qualcosa a cui non ci si può preparare. Sarà interessante.

C'è qualche regista con cui ti piacerebbe collaborare?
La lista è lunghissima e non saprei da dove cominciare! Sarebbe bellissimo lavorare con gli immortali come Spielberg e Scorsese. Ma uno che ammiro molto al momento è Steve McQueen. Adoro i suoi film.

In Die Hard hai lavorato con un'icona come Bruce Willis, ma prima di quello hai fatto Jack Reacher con un'altra icona, Tom Cruise. Come è stato lavorare con lui?
Fantastico. Lui è un perfetto modello di quello che spero di raggiungere. Per la longevità della sua carriera, il modo in cui la gestisce e le scelte che fa. È stata una gioia lavorare con lui.

Al cinema, qual è il tuo guilty pleasure?
Vado matto per le commedie stupide!

Per finire la nostra domanda da un milione di dollari: quale poster avevi in camera da ragazzo?
Grande domanda. Avevo un'enorme foto di Kurt Cobain. Ricordo ancora quando mio padre mi diede la notizia che era morto. Mi pento molto di questo, ma mi spaventai e feci a pezzi il poster e lo gettai via. Anni dopo sono diventato un grande fan dei Nirvana, nonostante questo shock.

In uscita il 14 febbraio, Die Hard – Un buon giorno per morire è distribuito in Italia da 20th Century Fox. Qui ne potete vedere il trailer.
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