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Crimini italiani fra romanzi e film

Dal libro al film, nel caso di un'opera straordinaria come "Romanzo criminale", il passo è breve. Atteso dopo l'estate e firmato Placido, per ora se ne parla. Con curiosità e sospetto.

Romanzo criminale

12.04.2007 - Autore: Matteo Nucci
Questa è una storia italiana. La storia di un libro come in Italia se ne trovano pochi e la storia di un film come in Italia se ne vedono… molti? pochi? Nessuno può dirlo ancora. Di sicuro c’è che il trailer l’hanno visto in parecchi, magari senza sapere che era stato montato (e mandato nei cinema) addirittura qualche mese prima che le riprese finissero. Eppure è solo questo quanto ci è dato vedere (e sapere) e certo non basta per decidere. Atteniamoci ai fatti, allora. E andiamo con ordine, innanzitutto.   Nel 2002 Einaudi dà alle stampe un libro intitolato “Romanzo criminale”. Il suo autore è un magistrato, Giancarlo De Cataldo, già noto ai lettori per tre opere – “Nero come il cuore”, “Minima criminalia. Storie di carcerati e carcerieri”, “Teneri assassini” – i cui titoli la dicono lunga. Ma “Romanzo criminale” è un’altra cosa.   Seicentoventotto pagine che dire strepitose è dir poco. Un mattone, a vederlo in libreria. Uno di quei piccoli capolavori che quando lo cominci non te ne stacchi più. Uno di quei libri che alla fine vorresti continuasse per altrettante pagine perché davvero ti sembra troppo breve. Uno di quei casi rari – quasi unici, in Italia – in cui non vedi l’ora di tornare a casa per riprendere a leggere…   È una storia vera, quella raccontata dal ‘magistrato’ De Cataldo. È la storia della banda della Magliana, di quel gruppo di giovani romani che avevano un sogno: mettere le mani sulla città. Un sogno che a Roma nessuno aveva mai avuto e che la banda riuscì a tener vivo per parecchi anni, ‘protetta’ fra interessi opposti: il terrorismo, la criminalità ‘più’ organizzata (in primis, camorra e mafia), i servizi deviati.   E così la storia di Er Negro diventa l’epopea del Libanese, la storia del ‘raffinato’ De Pedis diventa l’epopea del Dandi, la storia di Abatino l’epopea del Freddo. De Cataldo trasforma e riplasma fino a far nascere puro epos sulle ceneri di una delle bande più sanguinarie degli ultimi decenni di criminalità italiana. Ne viene fuori un romanzo imperdibile, in cui due figure ‘inventate’ diventano centrali: il commissario Scialoja, carattere complesso e contraddittorio, e Patrizia, la donna del Dandi, un concentrato di tutte quelle donne dei ragazzi della Magliana, così sanguigne, così piene d’amore e odio, così romane.   Di qui al film il passo è breve. Difficile per chiunque legga il libro non accorgersi della sua potentissima portata cinematografica. Viene subito in mente qualcosa di americano. Nonostante la giovane età dei protagonisti, è impossibile non pensare a un De Niro o un Al Pacino come protagonisti. Il totoattori impazza fra gli amanti del libro, così come impazza per mesi la ricostruzione della vera storia che è dietro ogni personaggio (e per la quale un ottimo strumento è in libreria, il saggio di Giovanni Bianconi, “Ragazzi di malavita. Fatti e misfatti della banda della Magliana” Baldini e Castoldi).   Poi le prime voci, poche le smentite. Cattleya acquista i diritti per l’adattamento cinematografico. Scatta il totoregisti. Il più atteso è ovviamente un certo Marco Tullio Giordana, fresco del successo di “La meglio gioventù”, capacissimo nel restituire atmosfere tipicamente italiane senza che il loro fascino resti relegato in provincia. Ma Giordana abbandona. Pare che la ragione sia molto semplice. Si tratta di un film da fare in grande, per il regista. E ‘in grande’ per il regista significa attori non professionisti, volti duri, veri romani, pelli olivastre di donne selvagge, occhi scuri di uomini che vengono dalla strada. Ma ‘in grande’ per i produttori vuol dire altro, e in due parole vuol dire ‘cast stellare’. Ma quali stelle in Italia? E chi le dirigerà?   La risposta per chi se ne intenda è scontata. Un regista adatto in Italia c’è eccome e il suo nome è Michele Placido. Non si accettano commenti, ovvio. Il cast stellare del resto lo potrebbe fare chiunque e le sorprese in fondo sono davvero poche. La sorpresa più grande è che non ci sia fra gli attori il primo che verrebbe in mente a chiunque: Valerio Mastrandrea. La seconda è che Patrizia, la prostituta, la donna autentica e tenace, la sanguigna che ha i tratti di un’epigona di Anna Magnani sia invece francese. Sarà Anna Mouglalis, icona in patria, lusso ed eleganza Chanel, già vista in Italia in “Sotto falso nome” (e in “Grazie per la cioccolata” di Chabrol o in “Novo” di Limosin), sarà lei a raccogliere la sfida.   Il resto è quello che offre il cinema italiano. Per il Libanese viene scelto l’ottimo Pierfrancesco Favino, per il Freddo Kim Rossi Stuart, per il Dandi Claudio Santamaria, per Roberta (la ragazza di buona famiglia) Jasmine Tinca, per il Sorcio Elio Germano e per Scialoja? come avere dubbi? Sarà Stefano Accorsi a raccontare le complesse sfumature del carattere di un commissario tanto deciso quanto fragile. Gli ingredienti, allora, ci sono tutti. D’altronde la produzione nel frattempo è diventata assolutamente unica nel panorama del nostro cinema: Warner Bros., l’inglese Acquarius, e – indovinate un po’ – la francese Babe, si sono schierate con Cattleya e la sceneggiatura è stata affidata a due esperti che lavorano a più progetti contemporaneamente ormai da anni (e non si sa se questa sia garanzia di valore e merito o meno, ma certo dovrebbe esserlo di successo): Stefano Rulli e Sandro Petraglia.   Ne vengono fuori settimane su settimane di lavorazione su Roma e dintorni. La città viene percorsa quasi in ogni angolo dalla gigantesca troupe. Da Trastevere al centro storico, da Velletri a Palo Romano, un immenso set si stende sotto piedi, macchine, luci, voci, delitti, amori. E Roma e i romani sono i primi a toccare con mano quanto sta accadendo. Si viene a sapere, ad esempio, che la sceneggiatura ha edulcorato a tal punto i racconti del libro che gli attori stessi, copia Einaudi alla mano, intervengono continuamente sul testo. Si viene a sapere che Placido non apprezza parolacce e volgarità ‘inutili’ e che Scialoja (non si sa se per via del personaggio o del suo interprete) non è più tanto complesso e che il suo amore con Patrizia non decolla nelle grandi contraddizioni, che il vecchio pederasta amico di Patrizia è diventato un bel giovane e che i ragazzi assetati di potere sono diventati bei giovani motivati da un desiderio di rivincita sociale.   Ma qui siamo già al sentito dire, a voci e illazioni, a commenti e sarcasmi e i fatti non sono più tali. Di crimini si parlava, di crimini veri, di crimini raccontati e di crimini filmati. Quanto ad altre colpe, ad altri peccati, ad altre tentazioni di successo, se queste siano state criminose o meno, per ora non lo si può dire. Bisogna aspettare settembre, ottobre, o quando il film uscirà nelle sale. Il totocrimine non rientra fra le abitudini italiane, almeno in questo caso.