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Confidenze troppo intime

Due solitudini a confronto in quello che il regista Patrice Leconte definisce 'thriller sentimentale'. "Pensavo ai film di Hitchcock. Una donna misteriosa, di cui non si conosce nulla. Incertezza, paura, suspense e poi una storia d'amore"

Confidenze troppo intime

12.04.2007 - Autore: Terry Marocco
Regia di Patrice Leconte con Fabrice Luchini e Sandrine Bonnaire   Una donna infagottata in un impermeabile amaranto, i capelli coperti da un basco, entra in un anonimo palazzo, chiede dello studio di un medico, sale al piano indicato dalla portiera, ma suona alla porta sbagliata. Entra, si siede e pensando di trovarsi davanti a uno psicanalista comincia a raccontare all’uomo in gessato grigio che le apre la porta, i problemi di una vita sentimentale difficile. Ma dall’altra parte della scrivania ad ascoltarla non c’è un dottore, bensì un consulente fiscale. Anna, una Sandrine Bonnaire persa e perversa, e William, uno strepitoso Fabrice Luchini, bravissimo a rendere lo sguardo sgomento dell’uomo sull’universo femminile, iniziano una relazione particolare, fatta di attese, mistero, cose non dette o appena sussurrate e appuntamenti proprio come da un analista. La donna piange, accende e spegne sigarette, racconta di un marito che non la tocca da mesi, di un amore claustrofobico a cui non riesce a rinunciare. L’uomo ascolta, aspetta. E’ travolto da un mondo che non riesce a penetrare e dopo ogni incontro con Anna è lui a bussare alla porta del vicino psicanalista (Michel Duchassay, tutto in nero, in una perfetta parodia degli analisti, cinici, inutili e cari da morire), per farsi spiegare quegli incontri sfuggenti. Due solitudini a confronto in quello che il regista Patrice Leconte definisce ‘thriller sentimentale’. «Pensavo ai film di Hitchcock. Una donna misteriosa, di cui non si conosce nulla. Incertezza, paura, suspense e poi una storia d’amore, ma senza l’idiota finale felice». Anna infatti è un mistero, le cose che racconta potrebbero essere un’assoluta invenzione, un gioco di seduzione, dove lei è l’unica attrice protagonista. E più sente il suo potere seduttivo crescere, più si spoglia. Via l’impermeabile informe, il basco, i guanti, alla fine indosserà solo un abito leggerissimo e scollato. E il maschio? Resta a guardare. William è stupito, incredulo davanti agli orgasmi di lei nella vasca da bagno e ai suoi amplessi virtuali, spaventato dal senso di mancanza quando Anna sparisce, rassicurato solo dai suoi giochi di latta e dalla cravatta, feticcio a cui non può rinunciare. Un film semplice e forte, dialoghi secchi, crudi. Leconte non ammicca mai, forse tiene la parte al protagonista maschile, nella migliore tradizione del cinema francese dove la donna in fondo è un essere crudele, inafferrabile e immancabilmente bugiardo. Bellissime le scene del corridoio misterioso dove si affacciano porte all’apparenza tutte uguali e della donna ripresa di spalle, leggermente sfocata, mentre lo percorre. Non c’è sesso o forse ce n’è troppo, sottinteso nei gesti, nella tensione degli sguardi, nell’intimità creata dalle parole. Innamorarsi senza toccarsi. Ma davvero alle donne interessa più un uomo con cui parlare, confidare i loro segreti, piuttosto che un amante appassionato? Sembrerebbe di sì, e il regista si diverte a farlo dire alla protagonista di una fantomantica soap-opera (girata per divertimento dallo stesso Leconte). La protagonista, bellissima e sensuale, lascia il marito per un prete omosessuale. Alle disperate richieste del coniuge risponde:«Con lui parlo e mi capisce». A buon ascoltatore, poche parole.  
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