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C'era una volta il west

C'era una volta il west

western

16.07.2001 - Autore: Adriano Ercolani
Nellevoluzione della grammatica filmica che ha portato il cinema statunitense a poter essere definito classico, già allinizio degli anni 30, un parte notevole ha avuto il genere western, il prodotto cinematografico americano per eccellenza: gli schemi ben definiti di regia, la possibilità di usufruire al meglio dei grandi paesaggi, schemi narrativi predisposti ad esaltare il way of life e lAmerican Dream, hanno decretato che questo genere fosse alla fine rappresentativo dellindustria hollywoodiana in tutto il mondo. Se vi aggiungiamo poi maestri del cinema come il grande John Ford, Howard Hawks e molti altri, ecco che possiamo ben intuire come il western sia diventato il depositario del mito americano. Il grande capolavoro dellepoca doro è Ombre Rosse (Stagecoach,1939) di Ford, che negli anni 40 è stato seguito da una serie praticamente interminabile di altri capolavori, tra cui vogliamo citare soltanto Fiume Rosso (Red River,1948) di Hawks. Fino alla metà degli anni 50 il genere continua la sua progressione verso uno stile sempre più lineare, e raggiunge i massimi livelli con Mezzogiorno di Fuoco (High Noon,1954) di Fred Zinnemmann e Sentieri Selvaggi (The Searchers,1956) di Ford, probabilmente lopera più riuscita del maestro. Dopo aver raggiunto tali picchi si verifica però allinterno del genere uninversione di tendenza, in quanto si iniziano alcune sperimentazioni dia a livello tematico che stilistico, soprattutto immettendo allinterno della struttura classica contaminazioni (anche visive) derivanti da altro cinema. E in questo periodo che allora di affermano registi molto interessanti come ad esempio Robert Aldrich o Anthony Mann. Con la crisi del sistema hollywoodiano delle Major, ed anche con liniezione di virtuosismo arrivata dal nostro Sergio Leone, il grande periodo del western tramonta definitivamente, e negli anni 60 il filone perde decisamente di forza ed attrattiva, decadendo vertiginosamente. Ecco però arrivare Sam Peckinpah, che gira Il Mucchio Selvaggio (The Wild Bunch,1969), probabilmente il film-spartiacque - sia a livello estetico che concettuale - tra il cinema americano classico e quello contemporaneo. Senza poter entrare nel merito di tutte le componenti che fanno di questa pellicola un evento, ci limitiamo a constatare come con Il Mucchio Selvaggio il mito delleroe buono ed integro diventa definitivamente quello del fuorilegge violento e cinico, ma anche unico depositario di valori che il mondo a lui circostante ha perso nella barbarie. Si passa così dal vecchio western a quello nuovo, che potremmo chiamare (in maniera forse impropria) revisionista. Gli anni 70 diventano perciò terreno di sperimentazione a dire il vero troppo confusa ed ambigua perché si possa parlare di rinascita del western sotto altre spoglie, più amare e pessimiste. Vogliamo segnalare però ancora alcuni autori che ci hanno regalato vere e proprie perle, come ad esempio ancora Peckinpah con lo straziante ed elegiaco Pat Garrett e Billy the Kid (Pat garrett & Billy the Kid,1973), oppure il mai abbastanza apprezzato Arthur Penn di Piccolo Grande Uomo (Little Big Man,1970) e soprattutto di Missouri (The Missouri Breaks,1976). Nella crisi ideologica e di valori di questo decennio dunque anche il western, che da sempre è stato il depositario del pensiero americano, si perde, e soltanto negli anni 90 è riuscito a trovare una (piccola) nuova linfa, diventando comunque tuttaltra cosa: pensiamo ad esempio a variazioni sul tema barocche o poetiche come Pronti a Morire (The Quick and the Dead,1994) di Sam Raimi e Dead Man (id.,1995) di Jarmusch. Lunico autore capace di capire che ormai fare western può significare soltanto raccontare storie malinconiche di eroi stanchi (o di fantasmi...) è stato Clint Eastwood; dopo aver attraversato da eroe solitario gli ultimi quaranta anni di western ci ha infatti regalato una delle pellicole più belle e tragiche dello scorso decennio, e cioè Gli Spietati (Unforgiven,1992)