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Blindness

Da un romanzo difficile un film che cerca di essere il più fedele possibile all'originale. Una cecità improvvisa e contagiosa colpisce una metropoli: dirige Fernando Meirelles da José Saramago

Blindness - Cecità

15.05.2008 - Autore: Marino Cattaneo
Nel 1995 lo scrittore portoghese José Saramago, Premio Nobel 1998, scrisse uno dei suoi best seller più noti, Cecità, allegorica riflessione sulla cecità dell’uomo verso gli altri uomini, sulla mancanza di solidarietà e sull’uso corrotto del potere. Fernando Meirelles, il regista brasiliano di City of God e di The Constant Gardener, insieme allo sceneggiatore Don McKellar (che nel film si ritaglia un ruolo assai sgradevole) dopo anni sono riusciti ad accaparrarsi i diritti e a conquistarsi la fiducia dello scrittore per la trasposizione cinematografica di questa vicenda cupa e apocalittica. I dubbi di Saramago, volontariamente ‘esiliato’ nel paradiso di Lanzarote, nelle Canarie, erano legittimi: temeva uno stravolgimento in slash movie della sua creazione, la perdita dei suoi tanti significati a favore di una spettacolarità tutta esteriore.

Meirelles e McKellar sono riusciti a rendere visivamente gli incubi dello scrittore e il suo pessimismo, mantenendo, come nel libro, una sorta di anonimato per quanto riguarda il luogo della storia e i nomi propri dei protagonisti (nessuno viene mai chiamato per nome). McKellar è però caduto spesso nella trappola dell’asservimento di un film all’opera originale, arrivando anche a citare brani del romanzo - soprattutto tramite la voce narrante, a volte troppo invadente, dell’‘uomo con la benda a un occhio’ (Danny Glover), sorta di commentatore empatico, di coro da tragedia greca - ottenendo un risultato poco uniforme, che tiene desta l’attenzione dello spettatore in modo altalenante.

La vicenda della cecità bianca, una sorta di bagliore nebbioso, in cui cadono vittime gli abitanti della città, tranne la protagonista (Julianne Moore), l’unica immune, che si finge cieca per stare vicino al marito (Mark Ruffalo) internato in una sorta di lager, ci conduce, con un movimento di discesa vertiginosa, nei gironi danteschi e negli abissi dell’animo umano, dentro il lato oscuro in cui vige, come unica regola, quella della propria sopravvivenza a discapito di quella altrui, in un’assoluta mancanza di cooperazione.
Julianne Moore dà al suo personaggio uno spessore indimenticabile, in una presa di coscienza graduale, con un movimento opposto e propositivo che, dalla preoccupazione e dalla cura personale e di coppia, si sposta alla solidarietà per chi sta intorno, in una sorta di famiglia allargata.

Blindness riesce a trasmettere malessere e la voglia di fuggire è forte, soprattutto di fronte a certe scene e immagini, ma è un viaggio che vi invitiamo a compiere, nonostante l’enfasi eccessiva, la ridondanza, la sottolineatura ripetuta dei pensieri, dove basterebbero sguardi e gesti.

Dopo tutto gli incubi vanno affrontati e analizzati, per riuscire a lasciarseli alle spalle.