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Batman di Tim Burton compie 30 anni, cosa lo rende ancora unico nell'era di Avengers?

Il 23 giugno 1989 usciva in USA il classico di Tim Burton. Ecco perché ancora oggi resta uno dei migliori film di supereroi di sempre

Batman

19.06.2019 - Autore: Marco Triolo
Nel 1989, si diffuse brevemente la voce (nella mia città) che Batman fosse vietato ai minori di 14 anni. La sera in cui mio padre mi portò al cinema a vedere il film di Tim Burton, uno degli avventori in fila mi schiacciò contro una delle porte nel tentativo di passarci davanti e prendere il biglietto per primo. Questo per dare le dimensioni dell'evento che Batman rappresentò, in un'epoca in cui i supereroi al cinema non erano certo la norma. E quando ci arrivavano, al cinema, erano più che altro storie per bambini.
 
Prima di Batman, prima della Batmania, dei dischi di Prince in classifica e dei gadget onnipresenti, l'ultimo esemplare di film di supereroi di un certo rilievo era stato Superman IV, uscito due anni prima nell'indifferenza generale. I supereroi non erano garanzia di successo al botteghino come lo sono ora, soprattutto perché nessun produttore credeva davvero nelle loro potenzialità. Erano considerati roba per ragazzini o disadattati, materiale infantile che doveva per forza essere modificato per renderlo appetibile al grande pubblico.

 
 
Sulla carta, dunque, Tim Burton era l'autore perfetto per lanciare la saga di Batman. E Batman il personaggio perfetto per riportare i supereroi al cinema. All'epoca, il Cavaliere Oscuro creato da Bob Kane e Bill Finger aveva già cinquant'anni di storie alle spalle. Era, come oggi, una delle icone della cultura popolare occidentale. A differenza di Superman, però, era anche percepito come una versione più adulta dei supereroi, più cupa e violenta.
 
Non era sempre stato così. Sin dalla nascita del Comics Code, l'organo di censura dei fumetti americani, i fumetti si erano orientati sempre più verso tematiche decisamente infantili e leggere, evitando ogni controversia. Batman non aveva fatto eccezione, anche grazie alla spinta della famosa serie TV anni '60, che ne declinava l'universo secondo un gusto pop colorato e innocuo. Fu solo con l'arrivo dei più cupi anni '70, e le storie di Dennis O'Neil e Neal Adams, che Bruce Wayne tornò ai fasti dark di un tempo. Quello fu anche il periodo in cui nacque il Batman moderno, anche grazie ai seguenti sforzi di Frank Miller, con due cicli monumentali come Anno Uno e Il ritorno del Cavaliere Oscuro.

 
 
Il panorama fumettistico del Batman 1989 era dunque questo: storie moralmente ambigue, infuse di violenza urbana, cinismo, distopia e incentrate su un protagonista complesso e tormentato che, per giunta, flirtava con metodi fascisti nell'affrontare i criminali. Tim Burton, da parte sua, veniva da una sfilza di corti e due lungometraggi, Pee-wee's Big Adventure e Beetlejuice (uscito quando Warner Bros. lo aveva già ingaggiato). Aveva insomma dimostrato tutte le caratteristiche necessarie per capire il fragile equilibrio tra realismo e fiaba dark che rendeva unica la ricetta di Batman.
 
Influenzato da Il ritorno del Cavaliere Oscuro e dal bellissimo The Killing Joke di Alan Moore e Brian Bolland (alla base, in parte, anche del prossimo Joker), Burton consegnò alla Warner un trattamento scritto a quattro mani con la sua allora compagna Julie Hickson. Poi si affidò allo sceneggiatore Sam Hamm, a differenza di Burton un vero fan dei fumetti, per sviluppare quel trattamento in uno script. Fu Hamm ad avere l'idea, mai più seguita dal filone, di integrare la origini story di Batman nel flusso del racconto tramite flashback, per svelare lentamente il mistero del personaggio.

 
 
Insieme, Burton e Hamm si assicurarono di fare una cosa molto importante: cancellare qualunque traccia di camp dal film. Persino la precedente sceneggiatura scritta da Tom Mankiewicz (sceneggiatore e consulente della saga di Superman), e circolata a Hollywood per parecchi anni, virava da quelle parti. Ma il Batman per le nuove generazioni doveva tornare alle basi, tra gangster, vicoli lerci e fumosi e traumi psicologici infantili.
 
Ed ecco l'altra idea geniale di Tim Burton: un'ambientazione anacronistica in una città completamente ricostruita in studio. Gotham City non è una città reale, è un distillato dei lati peggiori delle metropoli americane, e per questo Burton non volle usare location esistenti. Le scenografie di Anton Furst, edificate negli storici Pinewood Studios di Londra, fecero la magia, trasportandoci in un mondo parallelo che prendeva forma dalla tradizione dei noir. E mescolava riferimenti temporali moderni a un'estetica, dalle auto al guardaroba, dalle armi agli arredi, esplicitamente anni '40.

 
 
L'altro colpo di genio fu il casting dell'eroe e del villain, o meglio dei due protagonisti. Da una parte Jack Nicholson, che in effetti era l'unica possibile scelta per il Joker. Dall'altra il vero colpo gobbo del film: un improbabilissimo Michael Keaton, attore specializzato nella commedia, non certo imponente come il Bruce Wayne fumettistico. Eppure così versatile da riuscire a dare forma alle tre diverse personalità di Batman – ovvero Batman, Bruce Wayne (la facciata) e Batman travestito da Bruce Wayne. Parafrasando Kevin Smith: Internet non esisteva nel 1989, ma i troll erano lo stesso incazzati neri per il casting di Keaton. Uno schema che si sarebbe ripetuto più volte nel corso della storia di Batman al cinema: basti ricordare i casi di Heath Ledger e Ben Affleck, entrambi accolti a pernacchie ed entrambi capaci di azzittire i loro detrattori (su Robert Pattinson la giuria deve ancora esprimersi).
 
Infine non possiamo non citare le musiche di Danny Elfman e Prince. Perfetto esempio di quel contraltare tra classico e moderno di cui dicevamo prima. Da una parte l'anima oscura, soffocante eppure epica dei temi del film. Dall'altra brani pop scarni e violenti. Indubbiamente imposti dall'alto, ma integrati così bene da essere diventati parte dell'identità del film.



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Il successo arrise all'operazione: Batman incassò 400 milioni di dollari nel mondo e divenne il quinto maggiore incasso della storia. Niente male per una cupa riflessione psicanalitica sull'identità e sulle maschere che, spesso, nascondono il nostro vero io (e che nel film non coincidono mai con le maschere fisiche). Batman ricevette un Oscar (alle scenografie) e lanciò una saga poi notoriamente finita male. Eppure non lanciò un filone di supereroi al cinema. Per quello avremmo dovuto attendere X-Men, undici anni dopo. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.