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Aria nuova per il noir all’italiana con In the box

Gli autori racconto il tentativo di rivitalizzare un genere dimenticato dalla cinematografia nazionale contemporanea 

In The Box Antonia Liskova

In The Box Antonia Liskova

13.12.2014 - Autore: Alessia Laudati
Quando si maneggia un’intervista, che per definizione è un oggetto versatile di interazioni umane, può succedere che il punto di partenza differisca in grande misura da quello di arrivo. Con i protagonisti di In the box, l’attrice Antonia Liskova, il regista Giacomo Lesina e il produttore Massimo Spano, che portano a Courmayeur un noir di stampo italiano e unico film italiano in concorso, è andata più o meno in questo modo. La chiacchierata cominciata come un discorso sul film, finisce per toccare temi più ampi e complessi che riguardano lo stato della cinematografia italiana. Dalla povertà del panorama artistico nazionale alla mancanza del cinema di genere, arrivando persino al complesso tema dell’abuso sui minori. Tenetevi forte; si comincia.  
 
Sembra che il film si regga principalmente su una contrapposizione di ambienti. C’è quello isterico del box, dove la protagonista è intrappolata e quello esterno, che connesso tramite un telefono, sembra mantenere un certo distacco nei confronti delle vicende della protagonista. 
 
Giacomo Lesina: “Sì è stata una scelta dettata da esigenze narrative. C’è il personaggio del poliziotto che cerca di mantenere la calma per non agitare ancora di più Antonia. Poi c’è Rita, la sorella della protagonista, che cerca di mantenere la calma perché ha accanto la figlia di Antonia, e poi c’è Fabio, il complice del marito di Antonia che è l’unico che urla.”
 
Com’è nata l’idea di girare questo film così particolare? 
 
G.L.: “Questa storia mi è stata mandata da Germano Tarricone, uno sceneggiatore che conosco. L’ho fatta poi leggere a Massimo e ha lui ha deciso di farla. Abbiamo capito che poteva essere fatta in maniera low budget. Questo perché oggi in Italia è difficilissimo fare un film. É difficile fare tutto  l’intero processo. Il cinema, per chi lo fa è proprio l’amore per la professione e  non per i soldi. Il cinema è un modo di vivere. Io penso al fatto che quando si è sul set e si sente che i macchinisti e i lavoratori dicono: “Stasera danno Il cacciatore” e nonostante l’abbiamo visto duemila volte siamo tutti lì a riguardarlo. Questo è il cinema ed è inspiegabile per chi non lo fa. E questa emozione che abbiamo cercato di trasferire al pubblico.”
 
Antonia Liskova: “In fondo il cinema è un’emozione anche per chi non lo fa. É un mondo che ci accompagna da quando siamo piccoli. Anche se non avessi fatto questo mestiere, l’amerei comunque perché rappresenta una fuga dalla realtà e ti catapulta in un altro mondo. In questo caso abbiamo fatto il film con due soldi. Si può fare. Come per film Dallas Buyers Club; nato in una macchina enorme come quella di Hollywood e realizzato con niente.”
 
Massimo Spano: “In the box nasce anche dalla voglia di fare un tipo di cinema che in Italia non si fa più e che un tempo era patrimonio assoluto del nostro paese. Noi avevamo un patrimonio cinematografico straordinario che non so per quale motivo, politico o forse perché abbiamo lobotomizzato il pubblico, abbiamo spazzato via la possibilità di fare i generi e anche di fare in modo che essi si contaminassero tra di loro. Questa era proprio una cosa caratteristica del nostro cinema. Facevamo il thriller meglio degli americani, il western meglio degli americani, facevamo l’horror meglio degli americani. Praticamente abbiamo fatto un cinema che ancora oggi il pubblico straniero si ricorda. Poi improvvisamente è diventato una tabula rasa e sono passati, purtroppo li ho fatti anch’io e ne sono partecipe, quei film dove dovevi fare solo ridere. Vedi i vari Eccezzziunale Veramente e i film di Pozzetto. E poi è stato il momento dei soli film che devono dare un messaggio.

Sono i famosi film d’autore e anche se io non ho niente contro gli autori penso che non ci debbano essere solo loro sul mercato. I francesi per esempio fanno tutto. Fanno anche l’erotico e noi no. Non si capisce bene perché abbiamo delle pruderie nel realizzarli ma contemporaneamente nel paese succede di tutto. Il popolo fa di tutto e di più e noi al cinema dobbiamo raccontare altre cose. Quando ho visto la sceneggiatura di In The Box e ho visto che era un film di genere, ho voluto farlo perché penso che il cinema possa risorgere da questo. Il cinema deve avere i generi. Come ha fatto Kubrick.
” 
G.L.: “Io ho fatto il primo Vacanze di Natale come aiuto regista. Però adesso si fa solo quel tipo di commedia. Questo non è positivo per il cinema”. 
 
M.S.: “Voglio solo raccontare un aneddoto. Io faccio un film che si chiama Marciando nel buio, dove c’è una scena di con due omosessuali che si baciano sulla bocca. L’ho fatto io e non l’aveva fatto nessuno prima. Qui, quando è stato proiettato al cinema, a Venezia, quando è passata la scena, tutti hanno cominciato a rumoreggiare. Due mesi dopo a Los Angeles, alla proiezione c’erano tantissime persone in platea e quando è arrivato il momento del bacio, tutti hanno applaudito e sorriso tra il pubblico. La differenza è sostanziale.”. 
 
G.L. “Voglio dire una cosa. Io sono un’attivista di Save The Children e frequentando l’ambiente, tralasciando i fatti di cronaca recente, appare chiaro come la maggior parte delle violenze sui minori accadano in famiglia. Questo film, in una maniera noire  piccola, parla anche di due bambini che vengono condizionati dalle scelte dei genitori. La società è molto cambiata. La società civile sta esplodendo ma anche implodendo. Ma quello che succede è che noi non ci raccontiamo più, non parliamo più di noi stessi. Gli americani hanno fatto un film sul Vietnam dopo cinque anni che era finita la guerra.
 
La scelta di ambientare il film in America è dovuta a esigenze di mercato?
 
G.L.: “É un film che ha aspirazioni internazionali e per questo era necessario girarlo in inglese. Antonia è una donna europea, il cattivo è inglese, per esempio. Se si vuole accessibilità ai mercati era necessario girarlo in inglese.
 
Antonia che rapporto hai con i film di paura, thriller e horror?
 
A.L.: “Per questo film si è trattato di una sfida allettante. Fare tutta da sola e stare in un box, poi girare in inglese. Anche il genere era diverso da affrontare. Si è trattato di mettersi nelle mani di chi ti ha chiamato e fidarsi. La paura era anche quella di fare un film noioso. Invece no. Mi sono divertita e ho cercato di capire cosa provare nell’incertezza assoluta che è la cosa più devastante nella vita di una persona.”  
 
G.L.: “Questo un film fatto da uomini con una protagonista donna. E le donne per noi restano un mistero. E comunque sia Antonia come madre e io come padre abbiamo cercato di dare significato a questo essere donna. Questo è un film fatto da una donna; per questo ci sono le sue emozioni e le sue paure.
 
 
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