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Ang Lee, in esilio da se

Si può raccontare la carriera del regista di Taiwan come un instancabile tentativo di occidentalizzarsi, culminato con La tigre e il dragone. Dalla trilogia meticcia fino al Leone d'oro con Brokeback Mountain

Ang Lee

12.04.2007 - Autore: Claudio Moretti
Non volevo gli occhi a mandorla. Non voleva gli occhi a mandorla Ang Lee. Li spalanca il più possibile in tutte le foto, magari in privato li allarga pure con due spilli per arrotondarli un po’. E col tempo non solo il suo occhio, ma anche il suo cine-occhio dietro la macchina da presa è iniziato a diventare ad ogni inquadratura un po’ più americano. Si può raccontare la carriera del regista di Taiwan come un instancabile tentativo di occidentalizzarsi.

La trilogia meticcia. L’esordio nella felice trilogia “Father knows best” pare un’efficace sguardo meticcio - culturalmente parlando - sui rapporti tra genitori e figli in quel mondo di mezzo che è la Taiwan di inizio anni ’90. Dopo Pushing Hands (1991) e Il banchetto di nozze (1993), la "soup-opera" Mangiare bere uomo donna (1994) mette i titoli di coda ad una saga perfetta per la miscela tra dolce e agro, tra buffo e triste. Golden Globe, Oscar e Orsi berlinesi ratificano il successo del regista di Taipei.

Voglio fà l’americano. Non basta ad Ang Lee: stanco delle mezze misure lui vuol proprio far l’americano. Decide di passare per i Padri Pellegrini, quelli che han fatto il Nuovo Mondo, e allora prende Jane Austen e mette per immagini il romanzo Ragione e Sentimento. Ang Lee firma il suo primo blockbuster hollywoodiano. E’ un successo e col seguente la Tempesta di Ghiaccio varca finalmente l’Oceano ambientando il film in pieno clima Watergate. Critica e pubblico si trovano ancora gomito a gomito a batter le mani.

Scottato dal western. Manca solo la tesi per laurearsi cineasta a stelle e strisce. Ma Ang Lee stavolta punta troppo in alto. Prende tre elementi costitutivi degli States: il mito della frontiera, il western e la Guerra di Secessione, e li mette tutti dentro lo stesso film, Cavalcando con il diavolo. Francamente troppo. Gli americani storcono il naso e rimandano la concessione della Green Card. Servono altri esami per Lee prima di potersi confrontare con la storia americana.

Cappa (occidentale) e Spada (orientale). Prova allora a rovesciare la prospettiva e volge lo sguardo alla tradizione orientale del Wuxiapian (cappa e spada). Non affronta tuttavia il genere per farlo conoscere in occidente. Bensì La tigre e il dragone diviene il luogo in cui Ang Lee mette in scena la sua trasformazione in cineasta americano. La prova finale: il sacrificio della propria tradizione sull’altare della spettacolarità hollywoodiana. La tigre e il dragone sgorga seducente per l’aspetto visivo ma privo di qualsiasi ispirazione tragica. Il film diviene il maggiore incasso di sempre per una pellicola straniera negli Usa e vince quattro Oscar. Cina, Hong Kong e Corea lo guardano invece con sincero e inevitabile disprezzo.

I Cow-gay prendono al lazzo il Leone d’oro. Il processo di occidentalizzazione è ormai completo e Hollywood lo battezza affidandogli un fumetto autenticamente americano come Hulk (2003). Ad Ang Lee non resta che tornare sul terreno dell’unica delusione, tra ranch e cavalli, e vendicarsi. I cow-gay di Brokeback Mountain prendono al lazzo il Leone d’Oro e fanno il pieno di applausi, lacrime e scosse sentimentali. Il regista di Taipei conferma la sua vocazione accademica per un cinema composto e formale. Tiene i piedi sulle staffe di più generi senza mai perdere l’equilibrio e in definitiva incarna la dialettica Occidente-Oriente soprattutto “come discorso sull'esilio da se stessi”.