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60 anni dopo: dieci motivi per riguardare Le notti di Cabiria 

Oggi il film del secondo Oscar di Federeico Fellini tocca un traguardo importante, ricordiamo insieme perché è così Grande.

26.05.2017 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Era il 1957. Sono già passati 60 anni da quando l'Italia - prima, e il mondo poi - poté mettere gli occhi su quel gioiello del nostro cinema che va sotto il titolo di Le notti di Cabiria e che tanta importanza riveste nella carriera di Federico Fellini. E non solo per i Premi vinti e i riconoscimenti raccolti, ma per la presenza e la toccante interpretazione della moglie Giulietta Masina, per l'apprezzamento raccolto a livello internazionale e perché essendo stato presentato alla decima edizione del Festival di Cannes, quale miglior occasione del nuovo - settantesimo - anniversario della kermesse francese per ricordare insieme dieci ottimi motivi per rivedere oggi quel capolavoro di uno dei nostri più grandi registi?

 

L'OSCAR
Le notti di Cabiria vinse l'Oscar del 1957 per il 'Best Foreign Language Film', per la seconda volta dopo il La strada dell'anno precedente. Un 'uno-due' che aprì le porte della leggenda al regista di Rimini, che con questo film raccolse anche i David di Donatello come miglior regista e miglior produttore, i quattro Nastri d'argento come regista del miglior film e per la miglior attrice protagonista (Giulietta Masina), la miglior attrice non protagonista (Franca Marzi) e il miglior produttore (Dino De Laurentiis), oltre al Premio del Festival di Cannes 1957 per l'interpretazione della Masina e il Premio speciale OCIC a Federico Fellini.

GIULIETTA
Cabiria è Giulietta Masina, che riprende un personaggio apparso in Lo sceicco bianco del 1952, ma il suo nome viene dal "primo kolossal" del nostro cinema, come lo definì Rai Storia: Il film di Giovanni Pastrone datato 1914 le cui scenografie sono ancora conservate al Museo del Cinema di Torino e che - con la storia della piccola bambina romana rapita dai cartaginesi - influenzò persino la neonata Hollywood. Ma soprattutto è la musa, oltre che la moglie, di Federico Fellini. Un volto, più che un personaggio, ricorrente; un'anima nella quale il mondo onirico del regista si è sempre specchiato ritrovandovi realtà e umanità.

CHAPLIN
Da molti definita una versione (quando non "caricatura") femminile di Charlot, la piccola Cabiria è una ingenua in cerca di affetto, spontanea e sognatrice ricorda in realtà più il Chaplin del finale di Luci della città che Il Monello…

CHECCO
E quello stesso sorriso tra le lacrime è quello che ama citare a sorpresa Luca Medici, in arte Checco Zalone, che in una vecchia intervista dichiarò: "C’è un film che ha segnato la mia vita: Le notti di Cabiria di Federico Fellini. Io ritengo quel film il suo capolavoro… Per me il cinema è quello, non me ne frega niente dello schifo che qualcuno vuole raccontare. A me interessa l’umanità della vita". E se lo dice Checco…

& FRIENDS
A buon titolo inserito nella lista dei "100 film italiani da salvare" - realizzata dalle Giornate degli Autori all'interno della Mostra del cinema di Venezia, con la collaborazione di Cinecittà Holding e il sostegno del Ministero dei Beni Culturali, e stilata da nostri stimati critici e cineasti - è una delle "pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978". Ma prima ancora era stato incluso anche nella "Great Movies List" di Roger Ebert e nei "1001 Movies You Must See Before You Die" di Steven Schneider, oltre a essere il "Miglior Film" mai visto - almeno fino al 1957 - dal grande François Truffaut.

DOUBLE FEATURE
Come d'uso all'epoca (vedi tante commedie di Totò, ma anche gli spogliarelli di La dolce vita o gli esempi di Luci del Varietà), nel film si può ammirare un esempio classico di teatro ripreso dal cinema. Si tratta del numero di cabaret dell’ipnotista, insieme agli altri uno degli elementi che determinarono il successo di pubblico di Fellini e contemporaneamente la manifestazione che questi aveva per attori, saltimbanchi e tutti i personaggi di quel mondo.



L'ULTIMO FELLINI VERISTA
Secondo alcuni, il film può considerarsi l'ultimo film di Fellini - prima della svolta di La dolce vita - a "conservare un andamento lineare, quasi verista".

LE MUSICHE
Non una novità nei film del regista, visto che i due hanno sempre collaborato (come dimostrano 8½, La dolce vita, La strada, Amarcord, Satyricon, Boccaccio 70, Il Casanova, Giulietta degli Spiriti, Roma, I vitelloni, Tre passi nel delirio, Il bidone, Lo sceicco bianco, I Clowns e Prova d'orchestra), ma le splendide musiche del Maestro Nino Rota - tra le più belle di sempre - meritano una doverosa citazione in questo elenco.

UN NUOVO MONTAGGIO
Un film storico, anche dal punto di vista tecnico. E che segnò uno spartiacque nel mestiere di Montatore. Questo grazie alla creazione della speciale 'Giuntatrice' CIR (Catozzo Incollatrici Rapide) da parte di Leo Cattozzo, a lungo braccio destro di Fellini e che ideò la sua incollatrice per pellicole, la 'pressa Catozzo' (che nel 1990 gli valse l'Oscar speciale per il Technical Achievement Award), proprio per lavorare a questo titolo.

CENSURA SI, CENSURA NO
Presentato in forma 'completa' al Festival di Cannes, il film venne poi censurato per l'uscita italiana (salvo poi esser 'restaurato' con l'aggiunta dei sette minuti mancanti nel 1998). Lo stesso Fellini ricordava così l'accaduto nel libro Federico Fellini, Intervista sul cinema a cura di Giovanni Grazzini: "La censura aveva proibito il film e io non volevo che bruciassero i negativi. Così, seguendo il consiglio di un amico gesuita intelligente e forse un po’ spregiudicato, padre Arpa, andai a Genova da un cardinale famoso, considerato uno dei papabili e forse anche per questo assai potente, per chiedergli di vedere il film. In una minuscola saletta di proiezione situata proprio dietro il porto, aveva fatto mettere, al centro, una poltrona comprata il giorno prima da un antiquario, una specie di trono con un gran cuscino rosso e le frange dorate. Il cardinale arrivò a mezzanotte e mezza sulla sua Mercedes nera. A me non fu concesso di restare nella sala e non so se l’alto prelato vide davvero tutto il film o se dormì; probabilmente padre Arpa lo svegliava nei momenti giusti, quando c’erano processioni o immagini sacre. Fatto sta che alla fine disse: 'Povera Cabiria, dobbiamo fare qualcosa per lei!'. E penso che gli sia bastata una semplice telefonata. Qualcuno mi accusò pubblicamente di essere una specie di Richelieu, che invece di combattere alla luce del sole, tramavo dietro le quinte; per fortuna allora c’era la possibilità di perdere tempo in polemiche di questo genere. Ma insomma, il film fu salvato. A una stranissima condizione, però, posta dal cardinale: che fosse tagliata la sequenza dell’uomo col sacco. L’episodio mi era stato ispirato da uno straordinario personaggio col quale avevo passato due o tre notti in giro per Roma: una specie di filantropo, un po’ mago, che in seguito a una visione s’era dedicato a una particolare missione: raggiungeva i diseredati nei punti più strani della città e distribuiva a tutti cibi e indumenti che teneva in un sacco. Questo ogni giorno. Con lui ho visto cose da fiaba. Sollevando la grata di certi tombini dove immaginavi ci fossero solo fango e topi, trovavi una vecchina che dormiva. Nei corridoi di un sontuoso palazzo di via del Corso, dove adesso c’è il Partito socialista, c’erano dei vagabondi che dormivano fino alle cinque della mattina, fatti entrare di nascosto dal guardiano di notte. L’uomo del sacco conosceva tutti questi posti: a uno faceva una iniezione, all’altro dava da mangiare. Nel film immaginai che Cabiria lo incontrasse sull’Appia Antica, mentre tornava a casa alle prime luci dell’alba brontolando perché un cliente mascalzone non l’aveva pagata. Vedeva l’uomo del sacco scendere da una macchinetta e avviarsi verso le cave di tufo, fermarsi sul ciglio di una specie di grande voragine e chiamare per nome una donna; da un lurido anfratto usciva allora una vecchia puttana che Cabiria conosceva come la Bomba Atomica, ridotta ormai a condurre una vita da topa. Poi Cabiria accettava di tornare a casa sulla macchinetta dell’uomo del sacco e restava molto colpita dai suoi racconti. Era una sequenzina molto commovente, ma che fui costretto a togliere; evidentemente in certi ambienti cattolici dava fastidio che nel film ci fosse quell’omaggio a una filantropa del tutto anomala, affrancata da mediazioni ecclesiastiche. E non è ridicolo che il sindaco di Roma, quando uscì Cabiria, protestasse perché avevo messo le puttane in un luogo – la Passeggiata Archeologica – che lui s’era tanto adoperato a render degno della capitale?".