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100 anni dalla nascita di Ingmar Bergman, cinque film per capire il suo cinema

Da Il settimo sigillo a Fanny e Alexander celebriamo un secolo dalla nascita del maestro svedese

14.07.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Un maestro assoluto, che ha lasciato una traccia indelebile nella storia della settima arte. Resta per molti un punto di riferimento sia nello stile che nei contenuti, sempre di alto spessore morale. Ha influenzato i grandi del cinema moderno, dalla Nouvelle Vague in poi. Woody Allen gli rende omaggio in Io e Annie, quando con Diane Keaton dovrebbe andare a vedere L’immagine allo specchio. Ma tutto il versante “pensoso” dell’imprescindibile commediante americano (Hanna e le sue sorelle, Interiors) è dichiaratamente ispirato a lui. Ingmar Bergman, svedese, è tra gli autori più prolifici di sempre, con oltre quaranta film per il grande schermo, sedici produzioni televisive e più di cento regie teatrali. Era nato il 14 luglio 1918, un secolo fa, e noi vogliamo ricordarlo con cinque capolavori immortali.



Il settimo sigillo (1957) – Una partita a scacchi sulla spiaggia: la Morte sfida un cavaliere che torna dalle crociate. Lui ha perso la fede, non riconosce più il mondo, è schiacciato dal silenzio di Dio. Siamo nel Medioevo, quando gli uomini hanno smarrito ogni speranza nell’avvenire. I richiami metafisici e filosofici si mescolano con l’arte figurativa, con i riferimenti ai dipinti di Dürer e alle incisioni di Hans Beham. Forse è il film più famoso di Bergman, con un fascino che sfida il tempo e una forte allegoria sui dubbi dello spirito umano.



Persona (1966) – La consacrazione di Liv Ullmann, futura moglie di Bergman. Un saggio sulla difficoltà di comunicare, sulle maschere che siamo costretti a indossare in un pirandelliano gioco delle parti. Persona si sofferma sulla condizione dell’artista, sul dilemma dell’essere o dell’apparire. È una progressiva perdita di identità, un cammino che porta le due protagoniste a specchiarsi l’una nell’altra. Bergman scrisse il film dopo un lungo periodo di depressione, nella solitudine dell’isola di Faro. Seguiranno L’ora del lupo, La vergogna e Passione.



Sussurri e grida (1972)Il colore dell’anima è il rosso. Le pareti di una bellissima casa del Novecento sono cremisi, e negli occhi delle donne si riflette per le pulsioni nascoste, per i sentimenti inquieti. Bergman analizza la condizione femminile, il pensiero, i movimenti, costruendo splendide geometrie. Un film complesso, un’analisi limpidissima dell’umanità, con tutte le sue contraddizioni. Visivamente magnifico, scandito dal ticchettare degli orologi, impossibile da replicare.



Il posto delle fragole (1957) Alla ricerca del tempo perduto, per citare Proust. Bergman mette in scena un road movie esistenziale, che si interroga sui giorni che sfuggono, sulla giovinezza che non ritorna. La nostalgia per gli anni migliori incontra la durezza del presente, il dramma di un’età che non fa sconti, in un viaggio tra successi e fallimenti. Forse Il posto delle fragole è la storia più bella del maestro svedese, che con lievi movimenti della macchina da presa immerge lo spettatore in una dimensione onirica, per poi riportarlo all’amara realtà. Ultima apparizione sullo schermo come attore di Victor Sjöström, a sua volta regista di alto profilo.



Fanny e Alexander (1982) – Realizzato per la televisione, in cinque puntate, un prologo e un epilogo, per un totale di 312 minuti. Ma in Italia l’abbiamo visto in una versione di poco più di tre ore. Fanny e Alexander è lo straordinario affresco di una famiglia che ha perso il proprio equilibrio, stritolata dalla quotidianità, dal rigore di una religiosità repressiva e dalle imposizioni del proprio tempo. Bergman scava nei suoi ricordi lontani, gira il suo film più apertamente autobiografico e consegna ai posteri la sua anima.