Kick-Ass
Dave Lizewski è un ragazzino cresciuto nella periferia americana, non è un videogiocatore, non è uno sportivo, non è un mahlete, si tratta di un normalissimo ragazzo. Quando non è in compagnia dei suoi amici Todd e Marty alla fumetteria della zona, ha delle fantasie sulla sua insegnante e Katie Deauxma, la ragazza più bella della classe. L'unica cosa insolita di Dave è che un anno fa è morta sua madre. Ma attraverso la fusione di normalità, rabbia adolescenziale e irritazione per essere continuamente aggredito, Dave prende la decisione di diventare un supereroe, Kick Ass. Il primo giorno di Dave come supereroe finisce con la sua fuga dopo essere stato accoltellato. Quando Dave si riprende realizza che non può non diventare un eroe, e quando con successo interviene in un'aggressione, si troverà sotto l'attenzione dei media americani. Mentre Dave viene risucchiato nell'oscuro mondo dei vigilante, che combattono il crimine, riuscirà ad avere un compagno, Red Mist.
di Marco Triolo
Se pensavate che il genere cinecomics non si potesse spingere più in là de “Il cavaliere oscuro”, vi sbagliavate: Matthew Vaughn vede la puntata di Chris Nolan e rilancia con “Kick-Ass”, adrenalinico action movie tra “Watchmen”, i fumetti della Marvel e il cinema di Quentin Tarantino.
Un film divertentissimo, ma allo stesso tempo complesso e dotato di
svariati livelli di lettura: insomma, non proprio il solito blockbuster
senza cervello a cui Hollywood ci ha abituati.
E infatti “Kick-Ass”, nonostante abbia un look moderno ed estremamente cool, non è per nulla un blockbuster: costato appena 28 milioni di dollari, il film di Vaughn è praticamente un'opera indie che, grazie a una coloratissima fotografia – che scimmiotta e omaggia allo stesso tempo film come lo “Spider-Man” di Sam Raimi – e a scelte di regia vincenti (come una sequenza animata che susciterà paragoni con "Kill Bill"), riesce a sembrare molto più costoso di quello che è in realtà. Vaughn, noto come produttore di Guy Ritchie, passa al livello successivo e si impone come regista d'azione efficace e ironico.
La storia, tratta da un graphic novel di Mark Millar (autore di “Wanted”) e John Romita Jr., è quella di Dave Lizewski,
adolescente nerd che decide improvvisamente di indossare un costume e
combattere il crimine come gli eroi dei suoi amati fumetti. A
interpretarlo, c'è lo sconosciuto Aaron Johnson, di cui sentiremo spesso parlare da qui in poi:
l'attore prende un personaggio piuttosto “svitato”, e fa sì che il
pubblico entri immediatamente in sintonia con i suoi crucci da teenager
medio. Dave è una sorta di anti-Peter Parker, un ragazzino che
diventa supereroe senza un movente preciso, ma spinto più che altro
dalla noia.
Intorno a lui ruotano una serie di personaggi scritti e interpretati in
maniera così efficace da arrivare a rubare la scena al protagonista: c'è
il boss della mala Frank D'amico (Mark Strong,
solido come sempre), che porta avanti i suoi traffici illeciti
mantenendo una facciata di rispettabilità. Frank, come ogni altro
personaggio del film, ha una doppia vita: è anche un padre a suo modo
premuroso nei confronti del figlio Chris (Christopher Mintz-Plasse), anch'egli appassionato di supereroi. Ma soprattutto ci sono Big Daddy e la piccola Hit Girl, padre e figlia che compongono un duo di spietati vigilantes, versione distorta di Batman e Robin. Nicolas Cage, si sa, quando è ben diretto sa tirare fuori il meglio di sé, ma la vera rivelazione del film è Chloe Moretz,
nei panni di una sboccata e feroce ragazzina di undici anni che non si
fa scrupolo ad avanzare tra gli avversari a colpi di lame e
mitragliatori. Naturalmente,il personaggio di Hit Girl ha
scatenato un mare di polemiche di spettatori e critici, preoccupati più
per la volgarità del linguaggio che non per la violenza quasi splatter.
Eppure la violenza e il linguaggio scurrile non sono mai fini a se stessi:
dietro la facciata beffarda e sopra le righe ci sono un paio di nuclei
tematici mica da scherzo. Il filo conduttore tra le gesta dei vari
protagonisti sembra essere non tanto la giustizia, quanto una ben più
bieca vendetta. C'è la vendetta dell'adolescente emarginato da una
società che sempre più spesso vede nell'aspetto fisico e nella
popolarità i veri valori. Ed è la vendetta a muovere le azioni di Big
Daddy e Hit Girl. Questa ambiguità morale domina tutto il film, ed
esplode in un finale che, saggiamente, lascia aperte tutte le questioni morali.
Non manca una riflessione sul ruolo di internet: un'orgia di cellulari,
fotocamere, video di YouTube e pagine MySpace alimenta la leggenda di Kick-Ass e ne diffonde le gesta ben prima della televisione. L'accostamento con “Iron Man 2” è d'obbligo: ma se in quel caso Jon Favreau si limita a inserire un paio di scritte in sovrimpressione per dare l'idea della presenza mediatica, qui Vaughn va ben oltre.
Non stupisce che la distribuzione italiana sia intimorita da un
tale prodotto: come venderlo, d'altronde? E' molto più complesso di un
normale cinecomic, troppo violento per non ricevere almeno un divieto ai
14 e stracolmo di riferimenti ai fumetti che potrebbero risultare
ostici per molti spettatori. Ma, come nei migliori film di
genere, tutto questo si agita sotto la superficie di un'opera che
principalmente è una macchina spettacolare capace di incollare allo
schermo. Chi ha orecchie da intendere…