Diario di una tata

Diario di una tata - Locandina

Annie Braddock è una ragazza del New Jersey alla ricerca di un suo posto nel mondo. Finita l'università, la madre la spinge a trovare un lavoro rispettabile nel settore degli affari, ma Annie preferisce di gran lunga gli studi antropologici. Casualmente entra in contatto con la cultura elitaria e rituale dell'East Side di Manhattan, tanto lontana dalle sue esperienze provinciali quanto la vita in un villaggio tribale dell'Amazzonia. Annie sceglie di isolarsi dalla realtà e accetta di lavorare come tata per una ricca famiglia, che definisce semplicemente "gli X".

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
The Nanny Diaries
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
01 distribuzione
DURATA
107 min.
USCITA CINEMA
30/11/2007
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2007
Negli anni sessanta tutti i bambini del mondo la sognavano e la desideravano, quasi fosse un giocattolo, perché lei era la tata che faceva uscire dalla borsa di tappeto l'intero reparto immobiliare di Harrodts, cantava con i pettirossi, sganciava i cavalli dalla giostra e ballava con i pinguini. Prima in libreria poi al cinema, Mary Poppins è stata identificata come un icona da amare e da seguire, esempio di severità e dolcezza, e il film un classico, dove le persone in carne ed ossa si mischiano con i cartoni animati che cantano e ballano nella migliore tradizione. Tutto ciò accadeva negli anni pre Beatles e pre contestazione giovanile, ma oggi, nel 2007, la situazione ed i gusti appaiono cambiati: più che dei bambini, Mary Poppins è divenuta una icona della cultura popolare (amata dai gay) simbolo di un certo perbenismo e di una rigidità dei costumi e della pedagogia.

La settima arte, oltre alla Poppins/Julie Andrews, ha omaggiato la figura della Tata (istituzione sacra nella borghesia e nobiltà anglosassone) con versioni molto meno consolatorie e buoniste di quella disneyana, una su tutte la Deborah The Innocents (1961) di Jack Clayton: inquietante, disperata e un po' pedofila. I tempi, come si sa, cambiano, ma le necessità rimangono e, quindi, ecco The Nanny Diaries, versione aggiornata del mito della Tata.

Il film, in realtà, ha poche parentele con la pellicola della Disney e molte di più con il caustico e delizioso Il diavolo veste Prada (non a caso uno dei personaggi è intento nella lettura del libro di Lauren Weisberger in una scena). Guarda caso anche questa pellicola è tratta da un omonimo libro di Emma McLaughlin e Nicola Kraus, vere tate che hanno avuto l'incubo di accudire i figli di depresse schizoidi in quel di Manhattan. Ma anche il libro aveva un punto di riferimento che è Sex and the City: studiare la professione di bambinaia sotto i versante antropologico.

Annie è una fresca laureata proveniente dal New Jersey che tenta di trovare la sua strada nella grande mela. Non nasconde il suo lato cafone anche quando indossa un terribile o tulliers verde smeraldo per il suo primo colloquio di lavoro. Ma fare l'economista non sembra la sua arte e si ritrova a fare la tata. La mamma del piccolo frugoletto si rivela ben presto una iena e il papà un uomo che non c'è. Annie lega con il piccolo ed assiste alle paranoie del bel mondo newyorchese, senza contare che trova anche l'amore con un ragazzo bello e statuario, ma ben presto le pressioni della madre del bimbo diverranno insostenibili.

Se svelassimo il finale nessuno andrebbe a vedere il film, dal momento che è una copia spiccicata de Il diavolo veste Prada. Qui Annie, li Andy sono delle provincialotte cafone che arrivano in città e devono coronare il loro sogno. Andy si scontra con Miranda, Annie con Mrs X: le donne mature (anagraficamente) sono due magnifiche stronze di i classe che sanno come ridurre la tua esistenza al limite del suicidio. Le fanciulle hanno poi intrallazzi sentimentali, che a causa del lavoro sembra si spezzino, ed infine trionferanno sulle vecchie babbione. Fin qui siamo nei pressi del calco fotografico: New York, bei quartieri, bella gente, improbabili riunioni per mamme e tate. Si aggiunge l'espediente dell'antropologia, visto che la protagonista vorrebbe studiarla all'università, e il film tenta di divenire una critica sociale in cui si prende di mira il fashion chic dei borghesi americani e le nevrosi compulsive del vivere moderno.

Il film non decolla e non fa ridere perché trascina una sciatteria di fondo propria delle operine fotocopia, senza contare che gli attori non si muovono con il giusto comfort. Scarlett Johansson è fisicamente azzeccata nel ruolo di ragazza senza gusto e appare abbastanza bruttina e sformata, ma sa regalare solo due espressioni e mettere in evidenza il labbrone leporino. Paul Giammatti si limita a fare due o tre occhiate e a dire tre cose, ma sta sulla scena solo per soldi, ed infine l'unica che meglio si muove tra le pieghe di questa commedia “da pomeriggio d'Agosto” è Laura Linney. Non è difficile capire perché lei sia brava e gli altri no: cattiveria e isterismo a la page funzionano sempre. Certo, però, la Miranda Prestley di Meryl Streep era davvero di una altra qualità.