Achille e la tartaruga

Akires to kame (Achilles and the Tortoise) - Locandina

Machisu, figlio unico di un ricco collezionista d'arte, ha una passione infantile per la pittura. I complimenti di un famoso artista amico del padre inducono il bambino a sognare di diventare un giorno pittore. Il precoce Machisu inizia a dipingere ovunque e in qualsiasi momento portando alla disperazione i suoi insegnanti. La tragedia irrompe nella vita del bambino rendendolo orfano e mettendo una brusca fine ai privilegi ai quali era abituato, ma non intaccando il suo zelo artistico. Cresciuto, il giovane Machisu è un ragazzo solitario che riesce a pagarsi gli studi all'accademia delle belle arti lavorando in officina. Egli muove i primi passi nell'affascinante mondo della creatività artistica ma incassa anche le prime amare critiche da parte di un gallerista. Presto però incontra la bella Sachiko che, convinta di essere l'unica a capire la sua arte, gli offre tutto il suo incoraggiamento. Il matrimonio è seguito dalla nascita di una figlia mentre Machisu, infiammato dall'amore e dalla speranza, si dedica con sempre più enfasi alla sua arte. Sulla soglia della maturità Machisu continua a non essere un pittore quotato. Egli però rimane dedito alla sua passione, incoraggiato dalla fedele e devota Sachiko ormai divenuta la sua più preziosa collaboratrice. Ogni nuova opera spinge l%u2019artista a esplorare in modo sempre più radicale la sua ispirazione. Alla disperata ricerca di riconoscimento, gli esperimenti artistici di Machisu e Sachiko raggiungono dei limiti che oltrepassano la tolleranza dei vicini e persino della loro figlia adolescente. Achille riuscirà mai a superare la tartaruga?

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Akires to kame
GENERE
NAZIONE
Giappone
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
Ripley's Film
DURATA
119 min.
USCITA CINEMA
28/08/2009
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2009
Ormai sembra che il discorso poetico di Takeshi Kitano si sia in qualche modo fossilizzato sul rapporto tra vena creativa e ricerca di successo, sulla dicotomia tra arte intesa nel suo valore assoluto e la commerciabilità invece di tale valore.
Dopo due commedie assurde ed a loro modo sperimentali come “Takeshi's” del 2007 e “Glory to the Filmaker!” dell'anno scorso, entrambe già presentate al festival di Venezia, in concorso questo suo ultimo “Achilles and the Tortoise” torna a sviscerare la stessa tematica, affrontandola in maniera narrativamente meno ardita degli altri due lavori ma inserendola in una storia classicamente lineare, che segue le gesta di tutta una vita di un protagonista che insegue il successo come pittore fino, insensibile al dolere ed alle tragedie che lo colpiscono, fino a sacrificare tutto per la ricerca ostinata di fama.

Kitano sposta dunque il lato artistico dalla TV e dal cinema verso la pittura, una delle componenti comunque fondamentali della sua poetica visiva in pressoché tutti i suoi film migliori.
Il pregio di “Achilles and the Tortoise” è quello appunto di inserire il discorso del cineasta in una storia non sconclusionata, ma che si lascia logicamente seguire seppur appesantita da una prima parte, quella della gioventù del ragazzo, eccessivamente prolissa e malinconica.
Dopo una cesura temporale che segue il personaggio principale nell'evolversi della sua ricerca nella maggiore età, il film subisce una decisa sterzata verso la commedia assurda, quella che aveva fagocitato la narrazione in “Takeshi's” e “Glory to the Filmaker!”: in questa seconda parte allora assistiamo ad almeno un paio di sequenze assolutamente divertenti, che confermano ancora la capacità di Kitano di coinvolgere il pubblico con le sue trovate.
Allo stesso tempo però la reiterazione forzata e lunghissima della ricerca di successo del suo protagonista dimostra anche come l'autore si stia davvero riducendo a riproporre con fastidiosa ridondanza una sola idea, e questo non può non lasciare spazio al dubbio che veramente Kitano abbia perso definitivamente quella verve creativa su cui sta scherzando sopra forse ormai da troppo tempo.
Achilles and the Tortoise” diventa in questo modo un lungometraggio evidentemente poco ispirato, “costruito” nel senso peggiore del termine ma poi incapace ad esempio di dare uno spazio logico ad alcuni argomenti fondamentali della poetica dell'autore, come la presenza continua e tragica della morte che accompagna la vita delle su pellicole più toccanti.

Realizzato in maniera più classica rispetto ai suoi lavori precedenti, soprattutto nella costruzione della sceneggiatura, quest'ultima produzione di Kitano si rivela un'opera di comunque ardua fruizione, farraginosa nel racconto e probabilmente carente di idee.
A questo punto non è preferibile che un autore che in passato abbiamo amato per la sua genialità e la sua visione precisa di cinema si prenda la pausa di riflessione necessaria a ricaricare il proprio serbatoio creativo? La risposta appare purtroppo scontata…