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Balada triste de trompeta - La nostra recensione

Alex de la Iglesia ritorna in grande con una storia senza limiti di immaginazione

Balada triste de trompeta

08.09.2010 - Autore: Andrea D'Addio
Due clown ridono su uno sfondo nero. Poco dopo saranno catapultati, con tanto di fucile e machete, dentro la guerra civile spagnola, accanto ai repubblicani senza neanche avere il tempo di cambiarsi. L’esito è quello che possiamo immaginare, ma ciò che interessa a De la Iglesia non è questo, bensì raccontarci la vita del figlio di uno dei due pagliacci. Come il nonno e il padre, anche lui è destinato a lavorare nel circo, ma la tragedia che si porta nel cuore lo segna irrimediabilmente. Nella normale ripartizione dei ruoli dei pagliacci, il mattacchione e il triste, lui decide di essere il secondo. Non potrebbe fare altrimenti, non fa ridere. Peccato però che il suo compagno di scena sia un violento a cui finisce con il contendere anche la donna, una vera e propria femme fatale. Le conseguenze del loro contrasto saranno più cruente che mai.

Descritta così la “Balada triste de trompeta”, titolo tratto dalla quasi omonima canzone del cantante Raphael (“La balada de trompeta”), potrebbe anche sembrare un film lineare. Ed invece lo stile grottesco con cui de la Iglesia ci ha abituati (suoi “Azione Mutante”, “Crimen Perfecto”) qui raggiunge livelli di surrealismo davvero quasi inimmaginabili. Il ritmo è più spedito che mai, non c’è un attimo per fare riposare gli occhi o rallentare il battito del cuore, i ruoli dei personaggi, buoni, cattivi, vittime, carnefici, si rincorrono e scambiano continuamente senza dare punti di riferimento allo spettatore, tanto che persino El caudillo è mostrato durante un atto di misericordia.. Da persone normali a mostri, così come già gli entusiasmanti titoli di testa indicano giocando con i volti della cultura popolare spagnola e occidentale in generale. La generazione che crebbe con Franco non potrà sorridere mai, se non di beffa, se non nell’eco della vendetta.

La storia vera della caduta del franchismo si fonde con la storia dei personaggi. Il citazionismo è continuo. Se si parla di atmosfere, Pasolini, Jodorowsky, Bunuel, alla lontana anche Fellini e Burton. Se andiamo sulle citazioni filmiche, c’è un po’ tutto il cinema (in particolare horror, da King Kong ad Hannibal Lecter, passando Charlie Chaplin, It e tanti altri. Per chi conosce la cultura spagnola i riferimenti storici e legati alla cultura popolare spagnola saranno sicuramente più chiari e ironici di quanto appaiano ad uno spettatore mediamente informato, e questo testimonia la capacità di de La Iglesia di lavorare su più piani narrativi e concettuali. Purtroppo che dopo novanta minuti di straordinaria tensione, il film ruoti un po’ troppo su sé stesso, tenti a strafare invece che chiudere questo sogno impazzito. La scena finale, quantomeno, fa risalire l’attenzione e chiude come si deve uno dei migliori film del festival di Venezia  (per la straordinaria potenza e originalità visiva) dove è in concorso e sicuramente riceverà l’applauso di Quentin Tarantino, presidente di giuria.