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Jean-Pierre Melville

DATA DI NASCITA: 20/10/1917
LUOGO DI NASCITA: Parigi
DATA DI MORTE: 02/08/1973
Regista, sceneggiatore e attore francese, maestro del noir e del poliziesco. Bob il giocatore (Bob le flambeur) (1955) è il suo primo film “noir”, fortemente influenzato da alcuni capisaldi americani e francesi, quali Giungla d'asfalto (The Asphalt Jungle) (1950) di John Huston, La fiamma del peccato (Double Indemnity) (1944) di Billy Wilder, Rififi (Du Rififi chez les hommes) (1954) di Jules Dassin e Grisbì (Touchez pas au grisbi) (1954) di Jacques Becker. Nel medesimo periodo, Melville acquista alcuni magazzini in rue Jenner facendovi costruire dei teatri di posa, utilizzati per girare gli interni delle sue pellicole fino al 1967, anno in cui un incendio li distruggerà. Crea così nel cuore di Parigi un piccolo ed anomalo caso di indipendenza produttiva, audace per l’epoca ma ben organizzato, suscitando l’ostilità corporativa delle istituzioni cinematografiche francesi. Viene ben presto considerato un precursore dai giovani emergenti della Nouvelle Vague come Francois Truffaut e Claude Chabrol, che in lui apprezzaronno particolarmente anche lo stile registico aderente alla realtà (molte riprese in esterni, budget ridotti, utilizzo di attori semisconosciuti, rifiuto del maquillage). È simbolicamente chiamato da Jean-Luc Godard ad interpretare il ruolo dello scrittore Parvulesco in Fino all'ultimo respiro (À bout de souffle) (1959). La successiva vocazione di Melville verso un cinema di genere, al tempo stesso classico ed astratto, ma sempre più destinato ad un vasto pubblico, lo allontanerà gradualmente dal movimento, finché nel 1968, sentendosi concettualmente sempre più estraneo, interromperà polemicamente i rapporti attirandosi un prolungato ostracismo da parte dei Cahiers du cinéma e della critica ad essa collegata. Leon Morin prete (Léon Morin, prêtre) (1961) introduce tali mutamenti di prospettiva in quanto finanziato e distribuito secondo canoni industriali ed interpretato da divi affermati come Jean-Paul Belmondo. Pervaso da una riflessione irrisolta su laicismo e religione, vi affiorano i primi rimandi significativi al cinema di Robert Bresson che tanta importanza avrà successivamente per l'autore. Ritorna con successo al noir dirigendo Lo spione (Le doulos) e Lo sciacallo (L’aîné des Ferchaux) (1963), sviluppando ulteriormente alcune peculiarità, quali l’atmosfera priva di speranza (derivata dall'hard boiled), la geometria dell’intreccio e l’espressione idealizzata della centralità maschile (spesso erroneamente scambiata per misoginia). Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide! (Le deuxième souffle) (1966) con Lino Ventura protagonista, è un eccellente noir secco ed amaro, in cui la forma minimalista ed il rigore dei toni raggiungono una piena maturità artistica e stilistica. Crescono i temi distintivi: l'assenza di motivazioni nelle azioni delle figure, il codice di lealtà dei suoi antieroi, la prevalenza degli aspetti psicologici e spirituali sul ritmo, il confronto-scontro tra malavitosi e poliziotti in un gioco di alter-ego. Dall'interno delle predeterminate strutture del genere, Melville inizia così un percorso di innovazione linguistica sottile ma incisivo. Frank Costello faccia d'angelo (Le samourai) (1967), è considerato il suo capolavoro. Vi "si concentrano tutti gli elementi dell’universo melvilliano con una tale secchezza di stile e perfezione, da creare un universo dalla bellezza implacabile e glaciale". Lo spietato e nichilista mondo del milieu viene ritratto in maniera spoglia ed astratta, e le sinossi tipiche del "polar" (poliziesco e noir) si svolgono in un clima rarefatto e con scansioni da tragedia greca. Segna l'avvio del rapporto professionale con Alain Delon, interprete esemplare dei personaggi melvilliani rassegnati ad un destino fatale, ma al contempo fieri e solidali. L'armata degli eroi (L'armée des ombres) (1969), originale film bellico accolto in maniera discordante ed accusato di essere filo-gollista, contiene reminiscenze autobiografiche del periodo resistenziale. Il risultato è un modello cinico ed antiretorico della guerra partigiana non scevro dal raccontare episodi crudeli e realistici. I senza nome (Le cercle rouge) (1970) è l’opera di maggior successo di Melville, summa-testamento della sua filosofia cinematografica basata sul determinismo. Polar impostato quasi come se fosse un “western”, grazie ad una sceneggiatura meticolosa, ad un ottimo cast e ad un uso sapiente del colore e della colonna sonora, il cineasta riesce ad equilibrare la naturale tendenza allo schematismo. Nella continua ricerca dell'essenzialità perfetta, la sua maestria e coerenza formale raggiungono qui il proprio apice.