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Faust - La recensione da Venezia 68

Sokurov firma un'opera dalla straordinaria forza narrativa adatta però solo a un pubblico che vuole davvero farsi trasportare

Faust - Johannes Zeiler

10.09.2011 - Autore: Andrea D'Addio
Il personaggio del Faust è uno dei più importanti e forse il più conosciuto della cultura tedesca. Tra i molti che vi si approcciarono, Johann Wolfgang von Goethe è sicuramente colui che più di ogni altro ha contribuito a formare la sua fama. E’ infatti il "Faust" di Goethe quello che Alexander Sokurov ha deciso di portare  quest’anno a Venezia. Un’opera con cui il regista russo compone il suo personale quarto capitolo di una tetralogia sul potere iniziata con altri tre ritratti, “Toro” (1999), “Moloch” (2000) e “Il sole” (2005). Se nei precedenti episodi però si partiva da personaggi realmente esistiti - rispettivamente Lenin, Hitler e Hirohito - questa volta è una delle più importanti figure dell’immaginario letterario (e non solo) occidentale ad essere preso come pretesto per raccontare la tremenda lotta tra l’uomo, le tentazioni e la ricerca dell’infinito.

Se il cuore dell’opera che Goethe scrisse e riscrisse più volte a cavallo del diciottesimo secolo era nel rapporto che si creava fra l’eponimo Faust e Mefistofele, Sokurov decide di mostrare il loro avvicinamento come un fatto quasi improcrastinabile. E’ vero, il diavolo è tentatore, ma questo Faust è più che mai aperto alla tentazione, non ne rifugge, sembra quasi averne bisogno per respirare e dare azione allo Streben, quell’impulso alla vita e alla conoscenza che altrimenti non gli sarebbe concesso. E così il loro vagare assieme per la città alla ricerca di espedienti con cui sopravvivere, con un Faust desideroso di soldi e un diavolo non dichiarato che continua a fare finta di non sentirlo, intrappolandolo di fatto nell’attesa  e nell’incertezza, diventa la dimostrazione di un’anima venduta già bel prima della loro conoscenza. Mefistofele è un angelo decaduto che lotta contro il bene conoscendone prima di tutto la forza persuasiva. E così non ha bisogno di apparire come male in ogni sua rappresentazione, sa bene che il tempo è dalla sua parte.

Sokurov racconta tutto questo con la sua solita maestria. Nonostante il basso budget (l’idea iniziale, poi accantonata per i costi nonostante si avessero già avuti i permessi, era di girare in Vaticano), attori semiprofessionisti e tempi di lavorazione ristretti, il cineasta russo riesce ad arrivare dritto al cuore dell’opera di Goethe, nonostante i tanti tagli (soprattutto della seconda e terza parte) e la coraggiosa decisione di posizionare la vendita dell’anima solo a mezz’ora dalla fine, dopo un’ora e tre quarti di discussioni e tentazioni. Il risultato è più che mai eccezionale per forza visiva e concettuale, anche se è innegabile che si tratti di una di quelle pellicole che richiede la massima attenzione da parte dello spettatore per non rischiare di cadere nella facile trappola della noia. I tanti e complicati dialoghi così come le scenografie spesso modeste (ma sicuramente si è fatto il massimo con ciò che si aveva), non sono un’attrattiva irrinunciabile. Il cinema, del resto, non è obbligato a piacere a tutti.

"Faust" sarà distribuito in Italia dalla Archibald


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