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State of Play - La nostra recensione

Il nuovo film di Kevin Macdonald è un'opera molto intensa, intrigante nella costruzione narrativa, avvincente nel ritmo, in alcuni momenti sofisticata nel gioco di rimandi e di finezze cinematografiche.

State of Play

23.04.2009 - Autore: Adriano Ercolani
Muovendosi ancora una volta dentro i binari consolidati di un tipo di cinema robusto, grintoso, che mira più alla solidità che allo spessore autoriale, Kevin Macdonald ci ha regalato con questo suo nuovo “State of Play” (id., 2009) un altro prodotto dalla fattura più che considerevole. Se già “La morte sospesa” (Touching the Void, 2003) e “L’ultimo re di Scozia”( The Last King of Scotland, 2006) ci avevano lasciato intuire la bontà cinematografica di questo regista, adesso abbiamo da lui l’ulteriore conferma che sa gestire al meglio sia un tipo di sceneggiatura maggiormente costruita sui generi cinematografici che un cast all star.

Il gruppo di attori che si mette al servizio di questo thriller infatti impressionante: protagonista di “State of Play” è un Russell Crowe sempre più a suo agio in ruoli che lo vogliono “eroe di tutti i giorni”, umano e contenuto nella recitazione – ricordiamo ad esempio anche la sua recente, sottovalutata performance in “American Gangster” (id., 2007) di Ridley Scott. Accanto a lui la come sempre deliziosa Rachel McAdams, Ben Affleck, Robin Wright Penn, Jeff Daniels e soprattutto una grande Helen Mirren, istrionica e portentosa come sempre.

Tratto dall’omonima serie TV che nel 2003 ha fatto scalpore, scritto da un trio di sceneggiatori di lusso come Billy Ray, Matthew Michael Carnahan e soprattutto Tony Gilroy, “State of Play” è un lungometraggio che rimanda esplicitamente d un momento di cinema come gli anni ’70, in cui Hollywood riusciva a coniugare con equilibrio le esigenze più spettacolari con storie che denunciassero le ambiguità della vita politica e civile del paese. Capolavori come “I tre giorni del Condor” (Three Days of the Condor, 1975) di Sidney Pollack o “Tutti gli uomini del presidente” (All the President’s Men, 1976) di Alan J. Pakula sembrano essere il referente storico primario del lavoro di Macdonald, che sulla scia di questi film costruisce un’opera molto intensa, intrigante nella costruzione narrativa, avvincente nel ritmo, in alcuni momenti sofisticata nel gioco di rimandi e di finezze cinematografiche.

L’unico difetto di “State of Play” sta in un finale eccessivamente “telefonato”, che si allunga a dismisura nel voler a tutti i costi regalare allo spettatore cambi di prospettive e sorprese non del tutto necessarie. Per il resto però il film è assolutamente riuscito, e conferma la bontà di questo tipo di prodotti, realizzati con estrema professionalità ed una dose di intelligenza notevolmente superiore alla media.

"State of Play" arriverà sugli schermi dal 30 aprile, distribuito dalla Universal Pictures.

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