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La commedia del potere

Esce oggi nelle sale "Il Divo", la nuova pellicola di Paolo Sorrentino, onorata del Premio della Giuria al Festival di Cannes appena conclusosi.

Il divo

28.05.2008 - Autore: Adriano Ercolani
"Il divo", nuova pellicola di Paolo Sorrentino onorata del Premio della Giuria al festival di Cannes appena conclusosi, è una pellicola decisamente spiazzante, per un motivo molto preciso.
Chi scrive si aspettava che il regista un’opera molto stratificata, che lavorasse sulla figura di Giulio Andreotti secondo molteplici chiavi di lettura. Ed invece Sorrentino opera una scelta del tutto anticonvenzionale, e realizza un film molto meno complesso di quanto appunto ci si aspettasse, che sceglie invece di lavorare quasi esclusivamente col “personaggio” Andreotti, lasciando da parte un tentativo di rappresentazione psicologica ed emotiva della “persona”.

Anche se a prima vesta questa impostazione può sembrare una banale semplificazione, in realtà dà una coerenza interna al personaggio davvero notevole, che purtroppo per il film si rivela rischiosa fin oltre il consentito – se infatti la prima parte è bellissima, alla fine vedere un “tipo fisso” sempre uguale a se stesso, che si muove parla solo per aforismi e freddure, alla lunga stanca un po’ ed impantana la sceneggiatura in un vistoso calo di ritmo nella seconda.
Mettendo in scena dunque una rappresentazione grottesca e non realistica del politico, appare a posteriori perfetta la scelta di adoperare Toni Servillo per interpretarlo, in quanto l’attore campano sembra oggi quello più capace di essere “istrione”, o meglio capace di lavorare con ruoli che in qualche modo rispecchiano la tipologia preordinata del “tipo fisso”
.
Dal punto di vista più strettamente cinematografico poi Paolo Sorrentino, che in passato ha dimostrato di essere un regista di notevole capacità tecnica e di importante sensibilità visiva, con “Il divo” conferma un maturazione stilistica che dopo il passo falso del pretenzioso “L’amico di famiglia” (Id., 2006) sinceramente non ci aspettavamo.
In questo caso ha costruito un puzzle visivo di enorme fascino, che lavora con estrema perizia con i tagli di luce – merito anche al sempre geniale Luca Bigazzi, direttore della fotografia – per costruire un universo visivo cupo ed allo stesso tempo magniloquente, come si addice alla rappresentazione volutamente grottesca che si è scelta.
Il risultato estetico de “Il divo” è indubbiamente potente, e coerente.

Come un tempo facevano registi ancora non avvicinabili come Elio Petri ed in alcuni casi Francesco Rosi, Paolo Sorrentino torna a proporci un tipo di cinema che, volendo rappresentare il personaggio più importante e contraddittorio della storia della Repubblica italiana, predilige la lente deformante del grottesco per realizzare un lungometraggio visivamente elegante, pieno di trovate portentose, che per seguire la sua intenzione fino in fondo sacrifica alla fine una certa fluidità narrativa.

Ma complessivamente “Il divo” è opera di cinema notevole, preziosa, che insieme all’altro film italiano premiato a Cannes, “Gomorra” di Matteo Garrone, ci riconcilia in qualche modo con una stagione di cinema italiano altrimenti radicalmente deludente.