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Paranormal Activity 2 - La nostra recensione

Il sequel del fenomeno horror della scorsa stagione tenta di espanderne l'universo, ma finisce inevitabilmente per minare la semplicità che era anche la maggiore forza del prototipo

Paranormal Activity 2 - in uscita

23.10.2010 - Autore: Marco Triolo
L'originale “Paranormal Activity” è un film perfetto, nel suo genere: è costruito in maniera semplice ma efficace, con una tecnica basilare ma gestita e controllata con abilità sopraffina, e dispensa un terrore profondo che va a scavare in paure ataviche, procurando brividi anche solo con un rumore. Con un incasso di quasi quattrocento milioni di dollari in tutto il mondo, a fronte di un budget di circa quincimila, era chiaro che la Paramount avrebbe intrapreso la strada del sequel. E così è stato, solo che stavolta Oren Peli si è intascato il suo bell'assegno e si è messo comodo, lasciando il lavoro a Tod Williams. Il risultato è anni luce inferiore al primo, ma forse non è nemmeno colpa di Williams. Forse anche Peli non avrebbe saputo, o meglio potuto, fare di più.

Per comprendere le ragioni del fallimento è bene confrontare questo film con un sequel analogo, “Rec 2”. Una pellicola che presenta lo stesso problema che affigge “Paranormal Activity 2”: nel tentativo di non realizzare una banale carta carbone del prototipo, gli autori hanno concluso che l'unica strada fosse quella di espandere l'universo dell'originale, moltiplicando i punti di vista. Così, in “Rec 2” abbiamo tre diverse telecamere, tre differenti punti di vista che scorrono paralleli, si incontrano e si scontrano. In “PA 2”, invece della singola telecamera, c'è addirittura un sistema a circuito chiuso che riprende varie stanze della casa. Tranne la camera da letto della coppia protagonista, giusto per non scadere nel già visto. Ma a espandersi non sono solo i punti di osservazione: anche il cast è triplicato rispetto all'originale. Oltre alla sorella di Katie, Chrissie, e al marito di lei, stavolta abbiamo anche una figliastra, un bebè e un cane, per non parlare di una tata messicana che sembra uscita dai “Goonies”.

Peccato che poi questa sovrabbondanza di materiale vada a minare l'efficacia stessa dell'originale, che traeva forza proprio dalla sua semplicità. Qui il gioco si fa troppo cinematografico – con questo continuo cambio di inquadratura che prende i contorni di un vero montaggio – per non compromettere la sospensione dell'incredulità. Risultato: si crea un filtro troppo evidente tra realtà e finzione, si finisce per capire che si sta guardando un film e la frittata è fatta. L'illusione svanisce.

Qualcosa di buono c'è, come l'idea di girare contemporaneamente un prequel e un sequel del primo capitolo. Ma tutto si perde in una sequela estenuante di salti ripetitivi tra giorno e notte che, almeno nella prima metà del film, non portano avanti la trama di un millimetro, laddove nel primo ogni dettaglio serviva per far procedere il plot e montare la tensione. Il finale, purtroppo, non riesce a evitare il ridicolo. E alcuni dettagli fanno sorridere, anziché inquietare: vedere per credere il già leggendario “Pulisci-piscina”, un vero e proprio personaggio quanto i protagonisti umani.

Di lodevole c'è solo il tentativo – già fatto nel primo – di restituire importanza ai rumori diegetici nella costruzione dello spavento, ultimamente troppo spesso affidato alle impennate della colonna sonora. Però, come nel caso di “Rec”, “Paranormal Activity 2” sta a dimostrare che ci sono casi in cui sarebbe opportuno non andare a stuzzicare la carcassa con un legnetto, e lasciarla dove sta.