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La crisi economica secondo Johnnie To

Abbiamo incontrato a Venezia il leggendario regista di Hong Kong, e discusso con lui del crollo delle borse e del ruolo della sua città nel mondo

Venezia 68 - Johnnie To

09.09.2011 - Autore: Marco Triolo, nostro inviato al Festival di Venezia
Johnnie To è uno dei nomi più leggendari del cinema action di Hong Kong, ma nel suo ultimo “Life Without Principle”, presentato in concorso a Venezia 68, ha cambiato soggetto, realizzando un complesso affresco di una società allo sbando dopo che la crisi economica ne ha trasformato i cittadini in squali interessati al solo profitto. Un mondo guidato dall’avidità, in cui tutti sono disposti a pugnalarsi alle spalle per guadagnare di più. Un mondo sottosopra in cui un gangster riesce ad essere la figura più positiva, tra usurai e impiegati di banca che non esitano a rubare il denaro dei clienti. Il film è costruito ad incastro, privo di ordine cronologico, e domanda completa attenzione, ma alla fine ripaga con un’esperienza avvolgente e una visione del nostro tempo nera ma con qualche spiraglio di speranza.

“Homo homini lupus”, dicevano i latini: abbiamo discusso di questo e di altri temi, come la violenza e il ruolo di Hong Kong nel mondo, con il regista.

Perché ha scelto questo titolo? Cosa ci dice del mondo di oggi?
In questi ultimi anni, dopo che è stata colpita dall’epidemia della Sars, Hong Kong ha raggiunto il punto più basso della sua storia, anche economicamente. Dopo che ci siamo ripresi, è nata un’economia con nuove opportunità, opportunità piuttosto estreme. Ad esempio, potevi comprare un appartamento e, se lo tenevi per alcuni anni, guadagnare il venti percento di quello che avevi speso. Se lo tenevi solo per un anno potevi guadagnare il cento percento, il doppio di quanto lo avevi pagato. Hong Kong è diventato un mercato perfetto per la gente della Cina continentale, che veniva da noi per iniziare a fare questi investimenti negli immobili. Questo però ha cambiato il volto della società, ha cancellato la routine giornaliera e ha spinto la gente all’ossessione per il guadagno. Coloro che non avevano niente volevano guadagnare, quelli che già avevano denaro diventavano ancora più avidi.

Quindi lei lo vede come un film sulla realtà di Hong Kong, non del mondo intero?
La crisi globale in America ed Europa ha avuto effetto anche su Hong Kong, non possiamo sfuggire, perché siamo il secondo mercato di titoli più grande del mondo. Parlare di Hong Kong vuol dire dunque parlare del mondo intero, perché siamo tutti all’interno dello stesso gioco. L’unico motivo per cui Hong Kong non è crollata è perché ha alle spalle la Cina, un partner molto forte.

Se il suo film è un morality tale sull’avidità, perché ha deciso per un finale così positivo?
Perché, se avessi raccontato una storia oscura e triste, sarebbe stata troppo realistica. E anche se alla fine i protagonisti ottengono una sorta di ricompensa, devono prima capitare loro delle cose terribili.
 
In passato, i suoi film hanno rappresentato la violenza nelle strade di Hong Kong. Com’è oggi la situazione?
Sin dal 1997, da quando cioè Hong Kong è tornata alla Cina, i gangster e le triadi sono diventati meno violenti e hanno messo in piedi imprese legali, ad esempio i casinò. Quindi la violenza nelle strade è diminuita, anche se esiste ancora il mercato nero e la criminalità non è scomparsa del tutto.

Come percepite in Cina la crisi economica europea?
La vera domanda è se l’Euro sia stata o meno una cosa buona per l’Europa. L’Euro è apparso come una moneta molto costosa: all’inizio ha dato una spinta all’economia europea, ma mi chiedo se a lungo termine rimarrà a galla e aiuterà davvero l’Europa.

Chi è il vero cattivo, nel suo film?
Secondo me sono queste nuove figure di affaristi molto calcolatori e intelligenti, che hanno in mano il potere e lo usano per approfittarsi delle persone, pur rimanendo convinti di operare all’interno della legge e della morale. Noi li chiamiamo “i coccodrilli di Wall Street”.

Culturalmente, Hong Kong è sempre stato un ponte tra Oriente e Occidente. E’ ancora così?
Nell’ultima decade di sicuro, e credo che finché ci sarà libero mercato lo sarà, soprattutto per il suo legame con la Cina.

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