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Project Nim, il pianeta delle scimmie chiama

Il regista James Marsh ci spiega perché il suo film su uno scimpanzé "parlante" in realtà parli di noi uomini

Project Nim, Nim con Herbert Terrace

02.11.2011 - Autore: Marco Triolo
L'altra faccia del pianeta delle scimmie, per citare uno dei tanti sequel del celebre film di fantascienza che viene menzionato anche nel corso di “Project Nim”, il nuovo documentario dell'autore di “Man on Wire”, James Marsh. Grazie alla sua doppia anima da documentarista e regista di fiction – suo il secondo capitolo della trilogia “Red Riding” – Marsh confeziona un film costruito su materiali d'archivio che però dimostra identica, se non superiore, potenza espressiva rispetto al cinema di finzione.

Perché “Project Nim”, presentato fuori concorso nella sezione L'altro cinema/Extra del Festival di Roma, in fondo è un vero e proprio “biopic con al centro un animale piuttosto che un essere umano”. Il film racconta infatti l'appassionante storia vera di come, negli anni Settanta, un'equipe di studiosi, guidata dal professor Herbert Terrace, abbia adottato lo scimpanzé Nim per insegnargli il linguaggio dei segni, e capire così se fosse possibile instaurare un dialogo inter-specie con i nostri “vicini di codice genetico”.

Nim con il suo amico Bob

Di uomini e scimmie
Distinto signore dall'aria elegante e dall'inconfondibile accento british, Marsh si siede con noi per una chiacchierata sulla natura umana, uno dei temi principali del film nonostante il protagonista sia uno scimpanzé “parlante”. “Il mio film – spiega il regista – parla delle differenze tra uomini e scimmie, più che delle somiglianze. E' chiaro che noi vorremmo lo scimpanzé più simile a noi, ma non lo è. E sta lì la sua tragedia”. Forse l'unico modo per stabilire una comunicazione tra le nostre due specie sta proprio nel riconoscere questa insanabile differenza: “E' una presunzione ingenua credere che Nim voglia davvero imparare il linguaggio dei segni. In realtà non gli interessa, e lo usa solo per raggiungere i suoi scopi. Credo che il nostro linguaggio sia perfetto per noi quanto quello degli scimpanzé è perfetto per loro. Una soluzione sarebbe avvicinarsi più a loro, piuttosto che forzare loro ad avvicinarsi a noi”.

Eppure dal film si deduce che i ricercatori avessero buone intenzioni: “Certo che le avevano, ma di buone intenzioni, come si suol dire, è lastricata la strada per l'inferno. Nessuno aveva obbiettivi malevoli, ma giocare con la natura senza capire la portata della responsabilità conduce a una serie di eventi spiacevoli per Nim come individuo”. Lungi da Marsh, tuttavia, l'intenzione di giudicare: “Non voglio accusare nessuno, non è il mio modo di fare. Penso che una persona si possa giudicare solo in base alle sue azioni, e io mi limito a riportarle affinché sia il pubblico a valutarle. Diciamo che io preparo il pranzo, poi sta a voi mangiarlo”. Nel film si dice anche che gli scimpanzé sanno perdonare. Questo li rende migliori degli uomini? “Non sono sicuro che sia così. Certo, Nim sembra capace di perdonare chi lo ha abbandonato, ma se sia perdono o vivere nel momento non so dirlo”.

Una scena del film

Di scimmie in scimmie
Nim è anche paragonabile al Cesare de “L'alba del pianeta delle scimmie”, e infatti Marsh nota come “la prima parte di quel film sia identica a quella del mio”. A riprova del fatto che gli autori del blockbuster con James Franco dovevano avere ben presenti gli esperimenti di Terrace. “Ogni film della saga esprime le idee della sua epoca. Nell'originale, gli scimpanzé erano visti come un oggetto di paura. Nel prequel invece sono visti con simpatia, e questo secondo me indica che oggi siamo più in sintonia con gli animali”. C'è da sperare che sia un buon segno, anche se la natura umana non sembra poter cambiare: “La nostra tendenza a voler superare i confini è comune a tutte le epoche storiche e i luoghi geografici. Ma spingerci oltre ci fa anche comprendere quali siano i nostri limiti”.

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