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Whiplash, ovvero Full Metal Jacket a ritmo di jazz

La rivelazione dei prossimi Oscar finalmente nei cinema italiani. Film.it ne parla in esclusiva con il regista Damien Chazelle

09.02.2015 - Autore: Pierpaolo Festa
"Full Metal Jacket alla Julliard", si potrebbe riassumere così Whiplash, film che arriva sugli schermi italiani dopo le proiezioni trionfo a Sundance e Cannes e dopo essere stato nominato a cinque Oscar (tra cui miglior film).  
 
Sullo schermo le mani di Miles Teller sanguinano mentre pestano tutto il tempo sulla batteria dove si esercita per tirare fuori tutto il suo talento. A costo di sacrificare ogni legame affettivo e ogni traccia di umanità. Semplice storia di sacrificio nel nome dell'arte? Non proprio. Chazelle, infatti, introduce come mentore del protagonista un insegnante tanto competente quanto psicopatico (e lo è a tutti gli effetti, lo interpreta J.K. Simmons): basti pensare all'esatto opposto di un personaggio come quello di Robin Williams de L'attimo Fuggente. "Mi sono ispirato a film come Rocky - rivela il regista ai microfoni di Film.it -  Ecco, volevo una specie di film sportivo. Un film che, però, avesse come protagonisti due stronzi". 



In effetti, per circa due ore seguiamo una coppia di protagonisti poco raccomandabili, tutt'altro che piacevoli che però entrano nel cuore dello spettatore. Mi chiedo se sia stata questa la sfida numero uno dell'intero progetto.
Proprio così. Continuavo a pensare: "Come faccio a creare un personaggio detestabile ma a dargli allo stesso tempo una filosofia affascinante a cui tutti possano credere?". JK Simmons (nominato all'Oscar come non protagonista, n.d.r.) interpreta un uomo pieno di odio. Un sentimento provocato dal fatto che le persone non vivono al livello che lui pretende da loro. Odia ogni cosa e lo vediamo "mascolinizzare" tutto ciò che gli sta attorno, proprio come il sergente di Full Metal Jacket.

Hai nominato solo uno dei due personaggi, quanto invece il ragazzo protagonista ti somiglia? C'è una componente autobiografica in Whiplash? 
E' autobiografico. Almeno in parte. Io ero un batterista jazz al liceo e avevo un insegnante molto competitivo e duro. Ancora oggi ho gli incubi che mi riportano a quel periodo. Da una parte sono diventato un musicista più bravo e un artista. Non posso dire però di essere diventato una persona migliore.  


 
Hai girato un film ambientato nel mondo della musica, eppure il paragone con Rocky calza a pennello...
Perché volevo sottolineare quell'idea astratta dalla quale siamo ossessionati: "Come lascio un'impronta sul mondo? Come faccio a fare qualcosa che va oltre le mie forze?". C'è tanto di me del film, tanto di cui non vado fiero. E' un film che al di là dell'arte e della musica, parla di competizione. 

Detto questo ci racconti il jazz come un mondo ostile in cui puoi perdere te stesso...
Lo è eccome ostile. Basti pensare alle battaglie jazz che si facevano un tempo o alla storia di Charlie Parker. Il Jazz parla proprio di questo: umiliazione e sofferenza. D'altra parte è anche vero che non c'è niente di più bello della musica di Parker, una delle cose più magnifiche che l'umanità abbia mai creato. L'ironia è che ci metti tutto te stesso e poi invece il pubblico vuole solo ascoltare Katy Perry!

 
Si rimane molto colpiti dalle immagini che mostrano le mani del protagonista sanguinare sulla batteria. Succede davvero? 
E' una cosa totalmente vera. Ogni strumento individua una determinata parte del corpo e scatena su di essa un dolore costante. Ai batteristi vengono i calli alle mani dopo le ferite, i trombettisti soffrono sulle labbra, per i violinisti invece la schiena diventa un problema, per i pianisti tutto il dolore si concentra sulle dita.
 
L'ultima domanda è quella tradizionale, Damien qual era il poster che avevi in camera da ragazzino? 
Una foto di Buddy Rich, proprio come quella che si vede nella camera del protagonista di Whiplash.

Whiplash, in uscita il 12 febbraio, è distribuito dalla Warner Bros. Italia. 

Per saperne di più

La recensione di Whiplash
Il trailer del film
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