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Un tirchio quasi perfetto: Dany Boon presenta la commedia francese che vi farà stare meglio

L'attore, celebre per Giù al nord, torna nei cinema dal 16 marzo 

13.03.2017 - Autore: Pierpaolo Festa (Nexta)
Dany Boon corre su entrambi i piani del suo appartamento per spegnere una dopo l'altra tutte le luci che la figlia lascia accese. Quando si rende conto che gli interruttori attivati sono troppi, decide di risolvere il problema alla radice... e staccare la corrente! Nel suo nuovo film interpreta un tirchio cronico ossessionato dal risparmio: uno che non accende mai le luci dell'appartamento e si accontenta di cenare approfittando della pochissima illuminazione fornitagli da un lampione fuori casa. Da lì a poco la figlia commetterà l'errore di volersi fare una bella doccia di venti minuti con l'acqua calda... ma lui metterà la caldaia fuori uso dopo soli due minuti, lasciando la poveretta insaponata e tremante.

Sono alcune delle sequenze più spassose di Un tirchio quasi perfetto, la commedia con Boon in cui ad ogni risata assaporiamo anche un retrogusto amaro. Un'amarezza che è la marcia in più del film. "Abbiamo pensato anche a Ebenezer Scrooge di Charles Dickens per creare il mio personaggio - ci racconta Boon quando lo raggiungiamo al telefono per parlare del film in arrivo in Italia dal 16 marzo  - Quando abbiamo finito il film, siamo andati in tour a presentarlo al pubblico, ed è successa una cosa che non mi aspettavo: le persone rimanevano colpite dalla solitudine del personaggio e da come si sia chiuso con il mondo... al punto da venire a confessarmi le loro verità".

Cosa ti raccontavano?
Mi parlavano della loro voglia di cambiare in seguito ad alcuni problemi in famiglia. Una persona è venuta da me dicendo: "sono due anni che non parlo con mio padre. Non ce la faccio a continuare così". Oppure "il film mi ha commosso perché mi sono sentito vicino alla solitudine del protagonista". E infine la frase che mi ricordo più di tutte, eravamo a Marsiglia e un padre di famiglia mi ha detto che non parlava con più con la figlia: "ora proverò a chiamarla per dirle che mi dispiace molto". Quindi ecco il film agisce come uno specchio sul pubblico. Uno specchio con effetti positivi. Quasi fosse una cura. 



Deve essere un enorme peso per un attore, no? Sentire tutta questa responsabilità addosso?
Be', era un qualcosa che volevamo affrontare: la sfida era proprio ottenere questo tono, passando dalle risate alla serietà. Ecco perché, tra tutti i film che ho fatto, Un tirchio quasi perfetto è uno di quelli a cui sono più affezionato... perché ho visto l'effetto che fa alle persone. E pensare che inizialmente non volevo interpretarlo!

Come mai?
In molti mi hanno subito consigliato di non fare il film perché è diretto da Fred Cavayé, un regista che fino a oggi aveva fatto soprattutto thriller e azione (è suo l'ottimo Pour Elle, thriller da cui è stato tratto il remake con Russell Crowe intitolato The Next Three Days). Un tirchio quasi perfetto è la sua prima vera commedia. Il modo in cui mi parlava del film, la sua visione, mi ha ispirato tanta fiducia. Aveva un'idea precisa, la prima cosa che mi ha detto è stata: "non interpreti un bravo ragazzo. Questo protagonista fa delle cose spiacevoli e lo spingeremo a fare cose ancora più spiacevoli nel corso del film". Il mio personaggio è solo e triste. Ci sono momenti in cui prova a essere gentile con le persone... ma la verità è che vuole approfittarsi di loro. Inizi a sperare in un suo cambiamento, ma ti rendi conto che non si tratta di pura avidità... lui è un uomo malato.  


Dunque torno a chiederti: considerati gli obiettivi del film, le responsabilità verso il pubblico e considerate le sfide produttive e creative... dopo vent'anni di carriera, ti viene comunque una certa paura prima di girare un film così?
La passione vince su tutto. È lei che mi guida. Il mio lavoro è assicurarmi di raggiungere il più possibile emozioni reali e non sbagliare la mira. Perché la commedia ti impone perfino più del massimo della tua concentrazione. Quando fai dramma puoi adattare i tempi e rielaborarlo un po', nella commedia non ti è concesso: hai solo una finestra di tempo, un solo modo di fare una scena. E se sbagli rischi di esagerare e far crollare tutto.

Parliamo un attimo del tuo rapporto con la Francia, quanto hai voluto prendere in giro i veri francesi mentre davi vita a questo personaggio. Conosci persone come questo protagonista?
Ne conosco tante. Soprattutto nel mondo dello spettacolo! (sorride). Scherzi a parte, può capitare anche in questo mestiere, dove molti attori che conosco hanno cominciato senza soldi e improvvisamente hanno ottenuto il successo. In questo caso possono succedere due cose: o diventi generoso o ti chiudi con il mondo.



Il cinema mainstream statunitense tende spesso a far raggiungere la perfezione ai loro personaggi prima dell'arrivo dei titoli di coda. Oggi quel cinema ci propone dozzine e dozzine di film sui supereroi. I tuoi personaggi invece mi ricordano l'esatto opposto, possiamo definirli "anti-super-eroi"?
Io non sono più un teen-ager e quei film di cui parli sono rivolti in primis a un pubblico di giovanissimi. Ma è come mangiare un hamburger: quando lo mangi tutto sembra perfetto, mezz'ora dopo ti senti appesantito... e magari ti puzza pure il fiato! Per rispondere alla tua domanda, la differenza con i film di Hollywood è che noi cerchiamo l'anima delle persone sin dall'inizio della storia. Non dimentichiamo mai la realtà, perché cerchiamo di connetterci di più alle emozioni umane e ai comportamenti delle persone. Dunque in Francia facciamo film su persone vere: eroi della vita vera. Ecco perché questi film rimangono nella memoria anche quando lasci la sala. Riflettono la verità. Penso che questa sia la cosa più importante per il pubblico europeo oggi. 

Come il nostro Roberto Benigni anche tu spesso dirigi i tuoi film. Sei l'attore, il regista e lo sceneggiatore... lo hai già fatto cinque volte. Cosa ti guida?
Voglio fare ridere le persone. È il mio obiettivo numero uno. La sola cosa che amo fare. Dunque di solito comincio a pensare a un'idea semplice che mi diverte. Poi sviluppo l'idea provando a scrivere la sceneggiatura. Mi piace il fatto che bisogna lavorarci due o tre anni e costruire un progetto da zero. Mi interessa far ridere e allo stesso tempo far riflettere. E adoro il contatto umano: quello che si crea con la mia troupe - professionisti con cui passo tre mesi sul set - e con il pubblico che incontro quando il film è pronto, non solo in Francia, ma anche in Cina o Canada per esempio. Giro il mondo e sento le storie delle persone. Quando ho il loro sorriso mi sento completo, perché il mondo è un posto sempre più folle e sempre meno generoso. Sorridere oggi più che mai è una cosa fondamentale...

Un tirchio quasi perfetto, in uscita il 16 marzo, è distribuito da BIM