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Sul vulcano: fatalismo e vitalità nella Napoli di Pannone

A Locarno un documentario racconta la vita all'ombra del Vesuvio. L'incontro con il regista

Sul vulcano

11.08.2014 - Autore: Marco Triolo
Un grande fatalismo, ma un'ancora più forte vitalità. La Napoli raccontata da Gianfranco Pannone nel suo documentario Sul vulcano, presentato fuori concorso a Locarno, è distante anni luce dai cliché, per la ferrea volontà del regista di tenersi lontano da “teatrino napoletano ed effetto Gomorra”, come li chiama lui. Sul vulcano racconta l'avvicendarsi di vite all'ombra del Vesuvio, nella cosiddetta “zona rossa” che comprende ventisette comuni a rischio nel caso di eruzione. Un'idea non tanto dissimile da quella alla base di Sacro GRA, il documentario di Gianfranco Rosi vincitore dello scorso Festival di Venezia, ma Pannone arriva a una maggiore astrazione, quasi a un tono poetico della messa in scena.

Pannone sul set del documentario.
 
I temi cardine sono due, come abbiamo citato in apertura: il fatalismo degli abitanti del Napoletano controbilanciato dalla loro vitalità. “C'è un senso della morte molto forte, la presenza del vulcano ha forgiato le persone e le ha spinte a una risposta vitalistica e ad una compostezza morale, una faccia di Napoli che esiste ma che è difficile vedere”, spiega Pannone. “Napoli è la ferita aperta d'Italia”, una terra in cui “gli eventi geologici e la storia hanno creato un fatalismo pericoloso”. “Non dobbiamo dimenticarci che la storia di Napoli è stata fatta da altri popoli, dagli arabi ai normanni, dagli spagnoli e perfino dagli americani. Napoli è una città cosmopolita, a volte un po' autoreferenziale. È un luogo forgiato dal fatalismo, che nasce anche dal fatto di aver assistito a un'invasione a secolo”.
 
Una terra ricca di contraddizioni: “Non puoi darle definizioni, ed è questo che fa impazzire il nord. La cultura novecentesca va in tilt. Il camorrista può ospitarti a pranzo e poi uccidere, il Vesuvio può essere cattivo ma anche rivolgersi con gentilezza ai napoletani. La violenza è parte di quel mondo e loro ci convivono”. La domanda, dunque, è: “Sono loro a essere pazzi o noi che siamo schizofrenici in questa pretesa di separare il mondo in bene e male? Posso non condividere tutto, ma capisco che questa è la vita, e che è fatta di contrasti”. La speranza è che un film di questo tipo possa anche aiutare a sviluppare un senso civico: “Gli scienziati dicono che il Vesuvio erutterà ancora, e che sarà grave. Eppure, su questo problema la politica non risponde, fa finta di niente. Il fatalismo nell'arte ci sta bene, nella vita quotidiana anche, ma il fatalismo politico è di una gravità inaudita”.

 
Il film arriva in un periodo in cui i documentari italiani stanno spopolando, dopo aver vinto a Venezia e Roma (anche se Tir non era propriamente un documentario). “Credo che ci sia bisogno di tornare alla realtà dopo vent'anni di disinformazione ed edulcorazione del reale. Il documentario italiano è diventato un caso in Europa: è come se i giovani avessero detto 'andiamo a vedere di persona, non solo con un occhio alla verità ma anche all'estetica'. Il documentario può aiutare molto il cinema italiano con la sua vitalità e la sua libertà dagli interessi, che nasce dai costi minori”.
 
Sul vulcano sarà distribuito nelle sale da Cinecittà Luce ai primi di ottobre.
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