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Steve McQueen: "12 anni schiavo, tra la Bibbia e Pinocchio"

Abbiamo incontrato il regista inglese, tra i favoriti agli Oscar 2014

12 anni schiavo - Chiwetel Ejiofor

31.12.2013 - Autore: Adriano Ercolani, da New York
Dopo il trionfo a Toronto e la grande accoglienza a New York Film Festival, sono in molti a credere che 12 anni schiavo sarà il protagonista assoluto ai prossimi premi Oscar. La storia vera di Solomon Northup e della sua tragica odissea di schiavitù ha messo d’accordo la critica nordamericana praticamente senza eccezioni. A parlarcene durante la rassegna cinematografica tenutasi nella Grande Mela è stato il suo regista Steve McQueen, uno dei cineasti più “caldi” del momento.

Come ha deciso di confrontarsi con una storia così altamente drammatica?
Non sapevo come fosse realmente stata la schiavitù in America, volevo scoprirlo. A essa ho sempre associato inconsciamente sensazioni spiacevoli come la vergogna o l’imbarazzo. Fare questo film per me ha rappresentato in qualche modo la possibilità di superare questi disagi personali. Ho cercato di guardare la tragedia della schiavitù in maniera aperta, senza preconcetti, come faccio sempre con i temi che affronto nei miei film.



Quando ha deciso di tradurre in immagini il libro scritto da Northup sulla sua esperienza?
Mia moglie ha scoperto il libro, mi sono praticamente ritrovato una sceneggiatura già scritta tra le mani. L’idea che mi è piaciuta fin da subito era quella di un uomo agiato, che vive piacevolmente con la sua famiglia, strappato a essa e gettato in un ambiente tremendo, ostile, dove gli viene negata la stessa umanità. Mi sembrava che ognuno potesse entrare in empatia con Solomon, dentro la sua storia ci sono molte altre storie già raccontate, da alcune presenti nella Bibbia a Pinocchio, soprattutto nella scena iniziale in cui il protagonista viene sedotto e raggirato da due tipi che lo abbindolano con la storia del circo. Vi ho trovato anche degli echi delle favole dei fratelli Grimm. Il tutto inserito in una storia dall’impianto molto classico.

E’ stato difficile scrivere due personaggi fortemente negativi come quelli interpretati da Paul Dano e Michael Fassbender?
Con Paul abbiamo parlato molto del suo ruolo, abbiamo cercato di capire perché si comportasse in quel modo. Abbiamo immaginato che la sua rabbia provenisse da una frustrazione pregressa, magari dal fatto di essere picchiato dal padre. La violenza psicologica e fisica che pervadeva quei tempi si è protratta per generazioni, anche io venivo picchiato da mia nonna a volte. Per quanto riguarda il personaggio interpretato da Michael Fassbender, Edwin Epps, lui non sa come gestire il fatto che è innamorato di Patsey, la sua schiava di colore. La sola cosa che riesce a fare è cercare di distruggere il suo amore attraverso la violenza. E’ stato interessante in un film cercare di spiegare perché la violenza viene perpetrata, oltre che mostrarne il come. Spero che il mio film aiuti la gente a superare la barriera psicologica e iniziare a parlare di un periodo complesso come quello in cui veniva praticato lo schiavismo. E’ un processo difficile ma necessario.

In tutti i suoi film ha recitato Michael Fassbender. Come definisce la sua collaborazione con lui?
Vorrei precisare che non do per scontato di lavorare in ogni film con Michael, semplicemente lo scelgo perché è molto bravo. Era la mia prima scelta per il ruolo di Edwin, credo sia l’attore più rappresentativo della sua generazione, è una miscela del Mickey Rourke dei tempi migliori e di Gary Oldman. Oggi si mettono film in produzione solo perché lui vuole esserci, mi pare una testimonianza di carisma abbastanza esplicita…



E’ riuscito a entrare nella psicologia delle vittime durante la lavorazione di 12 Years a Slave?
Penso che nessun uomo contemporaneo potrebbe veramente riuscirci. Per uno schiavo esisteva soltanto una questione: sopravvivere. Anche a costo di tenere fuori le emozioni, l’umanità. Cosa significava essere uno schiavo? Praticamente che non contavi niente. Non riesco neppure a immaginare il significato di nascere e crescere in un mondo in cui sei considerato nulla, la psicologia deviata in cui devi sopravvivere. Secondo me in alcune parti del mondo, soprattutto in America, ancora se ne sentono le conseguenze.

Ha avuto problemi a convincere gli attori ad accettare ruoli così riprovevoli?
No, in nessun caso hanno esitato ad accettare le parti che avevo loro proposto. Si tratta di professionisti, attori di serie A che hanno interpretato esseri umani con tutte le loro contraddizioni.

12 anni schiavo è un film visivamente prezioso. Come ha lavorato col direttore della fotografia per arrivare alla bellezza di alcune immagini?
Collaboro con Sean Bobbitt da tredici anni, è stato il direttore della fotografia di tutti e tre i miei film. Per quest’ultimo abbiamo cominciato concentrandoci sul colore, perché in pratica è il primo film che ho girato in esterni, in un ambiente così lussureggiante. Sean ad esempio si è coordinato con la costumista perché si documentasse sulle diverse piantagioni in cui il film è ambientato, in modo da creare una dominante cromatica per ognuna di esse. Lui riesce immediatamente a capire la quantità di idee che mi passano per la testa quando inizio a pensare a un film, e le traduce in immagini bellissime. Nella sua tragicità, la scena di violenza tra Michael Fassbender e Lupita Nyong’o spiega benissimo a livello visivo il rapporto viscerale che ho con le immagini, e quanto Sean sia in grado di comprenderlo e renderlo elegante.



Ci sono stati momenti particolarmente emozionanti durante le riprese?
L’emozione è stata interamente esplorata durante le prove con gli attori, abbiamo fatto un lavoro talmente preciso sui corpi e sulle psicologie che alla fine durante le riprese ogni sfumatura era già stata sintetizzata. Non c’è una scena che mi ha colpito più delle altre, è stata l’esperienza intera di realizzare un film del genere che mi ha segnato.

In uscita il 20 febbraio, 12 anni schiavo è distribuito in Italia da BIM. Qui la nostra recensione.