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Sette Anime - La nostra recensione

Gabriele Muccino torna sul grande schermo con un film che non ha paura di puntare dritto al cuore dello spettatore, al suo lato più emozionale e meno intellettivo.

Sette Anime Rece

08.01.2009 - Autore: Adriano Ercolani
Ed ecco arrivare questo secondo film della coppia consolidata Gabriele Muccino - Will Smith per consolidare definitivamente la nostra ipotesi sul regista italiano: tanto a nostro avviso infatti il suo cinema in patria veniva sopravvalutato in maniera incomprensibile tanto invece il suo lavoro in America sta dando dei frutti insperati e sorprendenti.
Sembra evidente che il cineasta ha bisogno di un sistema produttivo che ne contenga le indubbie capacità tecniche e le metta al servizio di una storia scandita con i tempi giusti, e che sappia sviluppare al meglio la sua innata propensione per un genere come il melodramma.

Se già il precedente, ottimo “La ricerca della felicità” (The Pursuit of Happyness, 2006) definiva questa tendenza, ecco lo struggente “Sette anime” (Seven Pounds, 2008) a confermarla in pieno. E si badi bene, in realtà anche queste due pellicole tra loro sono tutt’altro che simili: dove infatti nel primo Muccino lavorava sulla linearità e su canoni estetici consolidati al servizio di una sceneggiatura “forte”, stavolta invece poggia il suo film su una trama esplicitamente costruita in maniera aperta, imperfetta, ma che lascia ampio spazio alla voglia di strabordare, di eccedere, insomma di “rischiare”.

Il regista non si lascia sfuggire l’occasione, cavalca l’onda  e costruisce un dramma che ha l’indubbio coraggio di essere smaccato ma insieme preciso, puntuale anche quando in apparenza prende derive inaspettate. “Sette anime” è un film che non ha paura di puntare dritto al cuore dello spettatore, al suo lato più emozionale e meno intellettivo; lo fa usando le armi del cinema confezionato con estrema cura: soprattutto la fotografia di Phillipe Le Sourd dona all’immagine una densità cromatica di enorme eleganza ed insieme di potente calore.

Il resto del lavoro lo fa Will Smith, che diretto da Muccino ha fino ad ora sfornato due delle migliori interpretazioni della sua carriera. L’attore dimostra di possedere dei timbri drammatici ormai pienamente consolidati, e li mostra in una prova di certo istrionica ma mai eccessiva, sopra le righe. L’unica pecca del film è che raccontando con tanto calore il suo protagonista forse lascia un po’ da parte i comprimari, soprattutto il personaggio di Woody Harrelson.

Se questo “Sette anime” segna dunque definitivamente la strada che Gabriele Muccino ha deciso di percorre ad Hollywood, non c’è che da esserne felici, perché pur con alcune e più evidenti imperfezioni rispetto a “La ricerca della felicità” questo suo ultimo lungometraggio è un’opera coraggiosa ed appassionata, “barocca” nel senso migliore del termine.
Insomma, un lavoro sanguigno e doloroso, che parla di colpa e di espiazione rappresentandole in tutto il loro potere distruttivo. Se si accetta di sottostare alle regole imposte da un genere esigente come il melodramma, un’opera di enorme e sorprendente impatto emotivo.  

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