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Perfidia, il tuo nome è Sardegna

Presentato a Locarno il thriller esistenziale di Bonifacio Angius. L'incontro con il regista

Perfidia

10.08.2014 - Autore: Marco Triolo, da Locarno
Tre anni di lavorazione, un thriller esistenziale che mostra una Sardegna inedita, cupa, invernale. Una storia senza speranza. Questo è Perfidia, opera seconda del regista sardo Bonifacio Angius, che abbiamo incontrato a Locarno in occasione della prima del film in concorso.
 
La storia ruota intorno ad Angelo (Stefano Deffenu), un trentacinquenne senz'arte né parte, che vive in un paese a Sassari e passa le sue giornate al bar, con un gruppo di disperati come lui. Quando sua madre muore, il padre Peppino (Mario Olivieri) scopre di non sapere niente di lui e cerca di trovargli un lavoro. Ma la tragedia è dietro l'angolo e questo “bambino mai cresciuto” nasconde un lato oscuro sotto l'apparenza pacifica.
 
Perfidia – titolo che, come spiega Angius, “non è riferito tanto ai personaggi quanto al mondo in cui vivono, che come una persona perfida nasconde la malvagità dietro la calma apparente – è un film di rara cupezza, che fotografa una Sardegna in maniera antitetica rispetto alla cartolina che la gente vede dall'esterno, fatta di “sole, mare e colori”. “La mia è una città lagunare, quasi nordica. Il direttore della fotografia, lo spagnolo Pau Castejón, si è ispirato a film del nord Europa”.
 
La realtà in cui si svolge Perfidia è un mondo senza sbocchi o possibilità, un mondo in cui non resta che rifugiarsi al bar o tutt'al più tentare la strada del clientelismo. Non a caso padre e figlio protagonisti del film di nome fanno Manunta. “Non sono il primo autore a cercare di creare malessere al cinema – afferma Angius a proposito del tono del film – Non ho cercato di indorare la pillola nel finale. La nostra volontà era questa e siamo andati avanti fino in fondo”. Angius cita Taxi Driver nel descrivere il suo film, paragonando il personaggio di Angelo al Travis Bickle di Robert De Niro. Ma in fondo Perfidia è un film che non dipende troppo da modelli, che crea un suo mood e sfrutta pienamente la sua identità sarda e italiana. Alcune scelte forse sono troppo semplicistiche, come l'utilizzo della tragedia per dare una svolta oscura al plot e catalizzare i sentimenti del protagonista verso un finale inevitabile, ma che suona un po' pilotato. Eppure è indubbio che Angius abbia firmato un'opera con un suo carattere, e che proprio per questo non mancherà di dividere il pubblico.
 
“Nel mio film non c'è chi sbaglia e chi è nel giusto”, continua il regista. Il protagonista Angelo esprime nella voce fuori campo una più netta separazione tra bene e male, rifacendosi agli insegnamenti della religione cattolica, ma senza coglierli davvero: “Il rapporto di Angelo con la religione è trattato come un sentimento infantile, un bisogno di identificare il bene con Gesù e il male con il Diavolo. Angelo vive nella sua gabbia, la sua è quasi una superstizione”.
 
Una visione che lascia poco spazio alla speranza e che dunque farà fatica a trovare distribuzione, soprattutto in un momento come questo. Ma Angius non ama piangersi addosso: “Non abbiamo ancora distribuzione, oggi in Italia vanno o le commedie o quei film incentrati su un esotismo fasullo. Ma non è che all'estero le cose vadano tanto meglio”. Auguriamo a lui che Perfidia abbia una vita in sala.
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