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Paolo Sorrentino: "Con LORO volevo raccontare una storia d'amore"

"Non volevo puntare il dito contro nessuno", dice il Premio Oscar regista del biopic su Silvio Berlusconi, dal quale non escono "né vincitori né vinti".

02.05.2018 - Autore: Mattia Pasquini
Con LORO 1 ci aveva accompagnati in un "disagio dorato", lasciando aperti molti interrogativi e una grande aspettativa. Finalmente, con la visione della seconda parte del lungo e 'reinterpretato' biopic su Silvio Berlusconi, Paolo Sorrentino si concede e svela alcuni interessanti elementi dell'ambizioso progetto, senza dubbio utili a decifrarlo. È inevitabile che parlare di una figura tanto amata e tanto odiata metta ciascuno in una posizione di partenza non impermeabile a pregiudizi - positivi o negativi - ed è sicuramente per questo che il regista Premio Oscar si mostra particolarmente esplicito nel parlare della sua creatura, della tenerezza di cui l'ha imbevuta, della storia d'amore che spera di aver raccontato e dell'inutilità di trovare un vincitore, visto che - come tutti gli uomini - anche i personaggi che vediamo sullo schermo si muovono in base alle loro paure.

Inutile quindi cercare di capire chi sia chi, come tutti abbiamo fatto dopo la prima parte…
Il gioco del 'chi è chi' è legittimo, ma fa anche un po' rotocalco d'antan. Semplicemente perché non ha senso farlo. Nel film ci sono personaggi reali, con i loro nomi veri, se gli altri non li hanno è perché non sono quelli cui si fa riferimento secondo la stampa. Ci tengo a dirlo, perché non si può scherzare con il chiamare in causa le persone. E poi volevo esser libero di inventare.

Ci si aspettava un film politico, e invece si parla di uomini.
Non è un film schierato, o ideologico, sarebbe stato sciocco. Anche perché il Berlusconismo e il suo contrario sono stati ampiamente sviscerati, e arriveremmo fuori tempo massimo. Quello che mi sembrava esser stato meno puntualizzato erano i sentimenti dietro l'uomo politico e certi personaggi raccontati. Non è un attacco, né tanto meno una difesa. La sua controparte, interpretata da Elena Sofia Ricci, incarna le domande che molti detrattori avrebbero voluto fare a Berlusconi, ma questo non significa che io sia d'accordo con l'uno o con l'altra, non era questo il senso del film. Dentro ci sono le paure, quelle di giovani e meno giovani, della vecchiaia e della morte. Questa è l'attualità del film.



Loro sono gli italiani? È un film su di noi?
Non propriamente. Semmai è uno sguardo sul periodo tra il 2006 e il 2010 e sulle derive che forse arrivano dal decennio precedente, poco esplorato, degli anni '90. È un film anche su una parte degli italiani, e su alcune caratteristiche che accompagnano gli italiani, compresa una certa dimensione di eroismo che ho cercato di mostrare. Non c'è solo l'aberrazione di certe forme di libertà spregiudicate e depravate che si vedono nella prima parte, ma il timido tentativo di raccontare anche noi, attraverso personaggi inventati e non. Ma questa è l'ambizione di tutti i film, non una stravaganza di questo.

Ma i tuoi film sono sempre molto riconoscibili, ti secca che vengano definiti 'alla Sorrentino'?
Non posso che fare film 'alla Sorrentino'! È legittimo che qualcuno possa stancarsi, ma come qualcuno dice nel film è difficile uscire da se stessi. Molti hanno detto anche che cerco di imitare Kubrick, Scorsese, Korine, Fellini… ma se posso citare Radigue: bisogna provare a imitare i capolavori, è nella misura in cui non ci si riesce che si diventa originali. E visto che mi hanno sempre detto che non riesco a imitare quei grandi registi, mi dovranno concedere di essere originalissimo.

È più facile raccontare Berlusconi che il Papa?
Quando si ha a che fare con personaggi reali tutto diventa più complicato. La libertà creativa che ci prendiamo di solito diventa più contenuta, per molte ragioni. La serie TV su The Young Pope era su un Pontefice inventato, che non ci sarà mai, per cui sebbene in una cornice di verosimiglianza l'inventiva era assoluta. Qui no.



Ognuno avrà la sua risposta, ma chi pensa ne esca meglio tra 'Lui' e 'Loro'?
Mi terrei lontano dal fare classifiche tra le persone. Quando ci sono in gioco dolori e paure non ci sono né vinti né vincitori. Si può elogiare il coraggio, ma non condannare le difficoltà delle persone. E il film racconta proprio un universo in difficoltà, come tutti noi.

Dov'è il tuo sguardo, nel film?
Penso che il mio sguardo sia nel tono adoperato, e in una parola che si sente molto ultimamente: tenerezza. Non avevo voglia di puntare il dito contro nessuno, sarei stato pretenzioso e presuntuoso. Penso che un film, come un libro, debba essere - diversamente da certa cronaca irrazionale e nevosa - uno degli ultimi avamposti della comprensione. E non intesa nel senso di capire qualcosa, ma dell'essere comprensivi. Anche quando ci troviamo di fronte a comportamenti moralmente discutibili. Questo tipo di scelta ti espone a rischi non apprezzabili, ma è un rischio che vale la pena di correre. Credo che sia quello che deve fare un film, e ho provato a farlo. 

Un film di che tipo?
Il punto di partenza era quello di realizzare una storia d'amore, o almeno era una delle chiavi di accesso possibili. Poi forse il film prende altre direzioni, magari troppe, non so, ed entra in altri ambiti, ma la partenza è stata quella. Ci era parso che potesse essere il modo più efficace e inedito di raccontare le persone di cui si è tanto letto e sentito. 


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