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Manifesto, un'esperienza cinematografica: tredici Cate Blanchett al prezzo di una

Il regista Julian Rosefeldt svela i dietro le quinte di uno dei progetti più ambiziosi mai arrivati sul grande schermo. Nelle sale per soli due giorni

24.10.2017 - Autore: Pierpaolo Festa (Nexta)
Cate Blanchett moltiplicata per tredici. Ci sono tante prove incredibili che l'attrice australiana è riuscita a offrirci sullo schermo nel corso di vent'anni di carriera - prove che le hanno fatto vincere due Oscar - e nonostante tutto, mai si era moltiplicata per tredici volte sullo schermo. Ci siamo approcciati a Manifesto con la paura che fosse un "Terrence Malick sperimentale" con flusso di coscienza dei protagonisti sparato al massimo e voli della macchina da presa a caccia della spiritualità nella natura. Manifesto non è quel film. E' affascinante. Caotico con tutte quelle parole che vengono pronunciate in scena dall'attrice. E ipnotico se ci si lascia andare a questa esperienza cinematografica

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Futurismo, dadaismo, comunismo sono solo alcuni dei manifesti che tornano a vivere, enunciati dalla Blanchett che vediamo tra i tanti ruoli anche nei panni di un'insegnante, di un senzatetto, di una madre, di una donna a lutto, e di una presentatrice televisiva. Divertita. Divertente. E straordinaria come sempre.
 
 
A dirigerla - e ad aver scritto il progetto - c'è il tedesco Julian Rosefeldt. Fino a ieri artista affermato, oggi anche filmmaker. Sarebbe tuttavia sbagliato sostenere che Manifesto segna il suo debutto dietro la macchina da presa, dato che da anni Rosefeldt usa gli stessi strumenti di un regista, con la differenza che i suoi lavori finiscono per essere allestiti in un museo invece che in una sala cinematografica. Lo stesso Manifesto nasce come un'installazione: l'utente si ritrovava davanti a tredici schermi con la Blanchett in ognuno di essi nei panni di un personaggio diverso. L'attrice parlava in contemporanea su ciascuno schermo in piena enunciazione artistica. Una vera e propria Babele di manifesti. 

Come mai ha scelto una donna per farle interpretare teorie e formule per la gran parte scritti da uomini? "Il 95% di questi manifesti è stato scritto da uomini. E gran parte risale soprattutto al secolo scorso", racconta il regista Rosefeldt quando lo contattiamo su Skype. "Certamente questa scelta ne fa anche un film femminista, ma a parte il gender, l'aver scelto una donna rende il tutto molto più percettibile. D'un tratto quei testi risuonano in maniera diversa: la rabbia con cui sono stati scritti si trasforma in un monologo interiore. Cate non li urla al mondo ma li enuncia in situazioni ordinarie e domestiche. Ci si allontana dal lavoro di quegli artisti, e siamo invece più vicini alla poesia di quelle parole". 
 
Ancora una volta la Blanchett strega tutti, a cominciare dal suo regista che però evita di utilizzare una parola ormai satura come "musa". "Non la definirei una musa, ma una grande collaboratrice", afferma Rosefeldt. "Anche lei è un'artista, anche perché la sua mente è aperta: era incredibile vederla pronunciare i monologhi a volte in un unico ciak. Mi colpiva per il suo senso dell'umorismo e la sua conoscenza incredibile del linguaggio. Ha straordinarie abilità tecniche e si tuffa empaticamente all'interno di ogni personaggio. Era meraviglioso vederla in azione".  


 
E' interessante notare come una star ultra-impegnata come Cate Blanchett trovi il tempo di imbarcarsi in progetti più sperimentali. E di metterci la faccia. Tredici volte... 
Sta cambiando qualcosa a Hollywood. Le grandi star sono pronte a cercare lavori diversi rispetto ai soliti blockbuster che interpretano. Non si tratta più solo di soldi, oggi lavorano anche per registi di cui non avevamo mai sentito parlare prima. E' iniziato tutto con l'arrivo delle serie TV di qualità negli USA. La cosa non mi stupisce più di tanto: vedo il cinema mainstream solo quando faccio lunghi viaggi in aereo e devo dire che quei film si affidano sempre alle stesse formule. Da spettatore tendo a dimenticarli nell'attimo in cui finisco di vederli! Succede con il cinema d'azione ma anche con le commedie romantiche. Quindi è normale che gli attori, anche quelli più affermati, vogliano oggi saltare fuori dal loro ambiente sicuro, e sperimentare.
 
Manifesto può fare la differenza e creare un nuovo percorso cinematografico in cui l'arte e i film si incontrano puntando a un pubblico mainstream? 
Quello di cui parli sta già accadendo: penso soprattutto a un regista come Steve McQueen, forse l'esempio più appropriato quando parliamo di artisti filmmaker oggi al servizio del grande cinema. Alla fine non devi mai sottovalutare il pubblico, perché è sempre più intelligente di te. Il contesto artistico è ermetico perchè ci rivolgiamo a un'audience che non ha bisogno di essere convinta. Nel cinema è diverso, è un mondo più democratico: raggiungi un pubblico che comunque è sempre pronto a sorprendersi. 
 
Quali sono state le reazioni che ti hanno colpito di più quando hai osservato il pubblico in sala davanti al tuo film?
Ho visto spettatori irritati nei primi quindici minuti che però poi si sono lasciati andare alle immagini. Sono rimasti ispirati e hanno continuato a riflettere sul film anche dopo aver lasciato la sala. E poi ci sono stati spettatori che invece mi hanno massacrato su internet! L'altro giorno vedevo i commenti sotto il trailer... mi prendevano a parolacce... è comunque una reazione, vuol dire che ho fatto il mio dovere!



E' interessante notare come alcuni di questi manifesti scritti in maniera solenne o comunque dogmatica siano stati violati nell'attimo in cui sono stati formulati. Uno su tutti è proprio il Dogma del cinema scandinavo che viene citato nel tuo film... 
La cosa non mi sorprende affatto. Se vai a rivedere la conferenza in cui Thomas Vinterberg e Lars Von Trier leggono il loro manifesto, allora noterai che c'è tanto humour. La verità è che quando leggi i manifesti li prendi troppo sul serio, un po' come quando entri in un museo: pensi che se una cosa si trova in quella struttura, allora è importante e definitiva. Non ho mai letto il manifesto di Dogma in questo modo, anzi lo ho sempre visto come una provocazione. Una cosa che si contraddice da sola...
 
Torniamo alle parole di questi manifesti. Molti sono stati scritti almeno cento anni fa. Oggi viviamo in un'epoca in cui per i leader è facilissimo strillare la parola sui social media: quanto dunque è importante tornare indietro ai manifesti e presentarli a un'audience contemporanea?
Ho iniziato a lavorare a questo progetto tre anni fa, e il mondo allora era diverso. Il populismo oggi salta fuori alla stessa velocità dei funghetti magici... anzi dei funghetti atomici! Certamente possiamo paragonare la rabbia e la semplicità di alcuni di questi manifesti alle parole di Trump e della Le Pen. Ma ogni parola pronunciata da Cate Blanchett è anche di grande ispirazione. E in grado di far scattare idee e ispirare chi sta a guardare. Credo invece che la semplicità e la rabbia delle parole superficiali dei populisti rappresentino il vuoto... Non si tratta nemmeno di rabbia, è solo chiasso. Il vuoto più totale. 
 
Manifesto è distribuito nei cinema da I Wonder Pictures.