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Leo Gullotta: “C'è poesia e solidarietà in The Dark Side of the Sun”

L'attore racconta la rara malattia che colpisce i bambini fotosensibili nel film di Carlo Hintermann

18.06.2014 - Autore: Pierpaolo Festa
Xeroderma Pigmentoso, ovvero quella malattia che costringe i bambini a vivere isolati dalla luce del giorno. Lontani o protetti sotto uno scafandro dai raggi del sole. Ne sappiamo di più guardando The Dark Side of the Sun, interessante esperimento cinematografico (metà documentario, metà film d'animazione) che cerca di riflettere tanto sugli effetti della rara malattia quanto di rintracciarne le soluzioni. Il film di Carlo Shalom Hintermann racconta del campo estivo dello stato di New York creato da genitori coraggiosi al fine di raccogliere pazienti di tutto il mondo. Da una parte una storia "in carne e ossa" che segue i veri protagonisti di questa comunità notturna, dall'altra i sogni dei ragazzi che prendono forma animata grazie ai disegni di Lorenzo Ceccotti.  


Ne parliamo con Leo Gullotta che ancora una volta è tornato in cabina di doppiaggio per prestare la sua voce sia a personaggi in carne e ossa sia alle creature del sogno: “Quando Carlo Hintermann mi ha proposto di partecipare, ho aderito subito – racconta l'attore ai microfoni di Film.it – Il suo film mette in scena un concetto molto personale su questa malattia sconosciuta. Un tema terribile e allo stesso tempo una visione nuova e interessante sul mondo che viene solo di notte”. 
 
Le è capitato dunque di sentire che la sensibilità dei temi trattati aveva un effetto particolare su di lei anche in cabina di doppiaggio?
Certamente tanto. Sono legato a Carlo perché ero molto amico di suo papà che è stato un famoso attore di teatro e TV. Credo che questo suo progetto sia bellissimo: un film di denuncia e allo stesso tempo un lavoro poetico. Sono stato sempre presente laddove c'è un concetto di denuncia e solidarietà verso temi importanti. 
 
E' interessante, infatti, notare come sul suo sito ufficiale ci sia un'intera sezione dedicata alla solidarietà. Quanto la sua fama può aiutare quando si tratta di solidarietà?
È una cosa che va al di là della fama. La solidarietà dovrebbe essere una nota che fa parte dell'individuo: o ce l'hai oppure non ce l'hai. Ovviamente sposo il concetto che esiste uno spazio maggiore sulla comunicazione, ma è importante ricordarsi che solidarietà vuol dire – come nel caso di questo film - capire, essere vicino, far conoscere, migliorare la vita, sostenere chi fa battaglie. Penso ad esempio alle parti animate di The Dark Side of the Sun, realizzate per far capire meglio la situazione a tutte le fasce di pubblico. Sentimenti che vengono dall'interno, non solo la descrizione dei sintomi della malattia. Questa soluzione aiuta la comprensione dei temi e rende il film immenso. 

Una sequenza animata di The Dark Side of the Sun
 
A parte la poesia. l'altro tema esplorato nel film è proprio il progresso scientifico che rimane fermo quando si tratta di questa “malattia del sole”...
Senza dubbio. Sono malattie che non conosciamo bene perché vengono messe da parte. Il perché è semplice: non portano guadagni alle case farmaceutiche. Ovviamente non parliamo poi del nostro Paese dove la possibilità di fare ricerca c'è ma resta spesso in pausa. Il problema è sempre lo stesso: si cerca sempre di affidare tutto all'individuo quando invece dovrebbe essere lo Stato ad agire. 
 
Di tanto in tanto le capita di tornare in cabina di doppiaggio: soffre mai la distanza con i personaggi che doppia e il fatto di rinunciare da attore al proprio corpo e al proprio volto? 
In realtà credo che l'attore debba conoscere i linguaggi di questo settore. Di ogni settore: conoscere il linguaggio del dramma, quello della commedia, quello tecnico della macchina da presa e dunque sapere anche cosa significa stare davanti a un microfono. L'attore è come un medico che deve conoscere il corpo umano. Il doppiaggio è un linguaggio in primis tecnico, per questo bisogna conoscerlo bene. Senza fare alcuna polemica non accetto quando qualcuno dice: “io sono la voce di questo attore americano”. No, dovrebbe dire: “Io sono la mia voce”. Per fare doppiaggio bisogna non toccare nulla di quello che il pubblico vede sul grande schermo e con il talento devi comunque riuscire a emozionare.  
 
Allora ne approfitto per individuare nella sua carriera determinate esperienze di doppiaggio. Ad esempio lei è molto legato a Joe Pesci sin dall'inizio di questo percorso. Fu Sergio Leone a chiederle di doppiare Pesci in C'era una volta in America...
Sì, e mi aspettò anche perché all'epoca non potevo farlo subito. Ricordo questo bambinone giocherellone che era allo stesso tempo un regista forte e deciso. Sapeva tutto, sapeva esattamente cosa voleva. Di quell'esperienza mi porto il grande piacere di aver conosciuto una gran bella persona.

Vivere lontani dalla luce del sole: una sequenza in carne e ossa da The Dark Side of the Sun
 
Personalmente preferisco i film in versione originale, sebbene appartenga a quello zoccolo duro di fan che conoscono a memoria i dialoghi italiani di Mio cugino Vincenzo, un'altra grande prova di Joe Pesci. Quel film ebbe tanto successo in Italia, non fu così per il resto dell'Europa...
Credo che doppiare Pesci con quell'accento sia stato l'unico modo per far comprendere agli spettatori quello che lui ha fatto nella colonna originale. Dunque ho pensato a questo dialetto “broccolino” che è il gioco dell'italo-americano. Si trattava di trovare quel divertimento che Pesci e il regista avevano creato nel loro film. In Italia fu fatto questo lavoro “italo-broccolino”, cosa che non fu fatta in altri Paesi. Anche per questo il film ebbe il ringraziamento personale della 20th Century Fox in America. 
 
Vorrei chiederle anche di Tornatore e di quella volta che le chiese di doppiare Roman Polanski in Una pura formalità...
Oh, ecco un esempio perfetto. Perché se oggi guardiamo quel film in italiano e in parallelo nella versione originale allora ci accorgiamo che è stato fatto un lavoro di precisione perfino sui sospiri. Peppuccio fece diversi provini per quel ruolo, un giorno invitò me a provare. Siamo vecchi amici, lui è uno che partecipa alla realizzazione di un film con la stessa devozione durante l'intero processo creativo. Anche per questo lui è il poeta della macchina da presa. 
 
Alla fine di ogni intervista la nostra domanda di rito è: qual era il poster che aveva in camera da ragazzino?
(ride) Io ho 68 anni, più di mezzo secolo passato a fare questo lavoro: sono nato a Catania in un quartiere popolare negli anni Quaranta. Ovviamente all'epoca non c'era l'informazione che per fortuna i giovani hanno oggi. Detto questo credo che la risposta più vicina alla sua domanda abbia a che fare con delle figurine che compravo in busta. Figurine raffiguranti i divi del cinema americano e italiano dell'epoca, quelli che andavo a vedere nei cinema all'aperto. Era questo il mio “poster”, l'inizio del mio sogno per questo lavoro.

The Dark Side of the Sun, in uscita il 19 giugno, è distribuito da Microcinema. 

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