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Intervista a Lina Wertmuller

Intervista a Lina Wertmuller

lina wertmuller

14.04.2003 - Autore: Monica Scatena
Ancora una volta Lina Wertmuller riesce a provocare e, a dispetto delle cronache che hanno celebrato la vittoria di Nanni Moretti a Cannes, lei garbatamente ammette di non aver neanche visto il film del regista romano La stanza del figlio e di non amare troppo il carattere introverso del cineasta romano. Lironica e stravagante artista, che molti ricorderanno per Mimì metallurgico e Storia damore e danarchia, in occasione della presentazione di Fabiola film del 1948 di Alessandro Blasetti recentemente restaurato, ha preferito parlare dei suoi ricordi con Fellini, della rinascita del cinema italiano e del suo ultimo lavoro.   Negli anni 70 il cinema lanciava i valori della ribellione contro la borghesia, oggi il tempo sembra aver spento le passioni. Gabriele Muccino nel suo Ultimo bacio descrive una generazione appiattita, qual e il suo giudizio?   L.W. Io trovo Muccino bravissimo, mi piacciono molto i suoi film che non raccontano una borghesia appiattita, ma la realtà. È vero che i trentenni sono spenti perché sono andate in crisi le ideologie, lunico dio è il successo e il denaro, non è uno scenario divertentissimo, si ricerca il benessere a discapito della passione. Detto questo ritengo la borghesia parte centrale della società, perché bene o male lavanzamento sociale del popolo tende ad imborghesirlo. Eppure cè stato un periodo in cui la parola borghese suonava come unoffesa. Il cinema ha raccontato le diversità sociali in molte maniere, ad esempio attraverso la commedia allitaliana. Io personalmente ho fatto quasi sempre dei film grotteschi e mi sono occupata molto di più del popolo, e quando ho ritratto la borghesia, come in Travolti da un insolito destino nellazzurro mare dagosto dove una signora bene milanese era contrapposta a un sano pescatore siciliano, volevo dare attraverso la passione erotica, una divisione radicalmente politica; perciò quando lui gli diceva borghese era come se gli dicesse puttana.   Oggi lei e qui per celebrare uno dei nostri migliori registi, di cui ricorrono i cento anni dalla nascita, perche questa presenza?   L.W. Credo che la carriera di Blasetti sia da studiare perché è una grande lezione di arte e di cinema, attraverso tutti i generi che egli ha trattato in maniera straordinaria.   Il quotidiano La Repubblica, riferendosi alla recente vittoria di Moretti a Cannes, ha titolato: Una palma che rigenera il cinema italiano, lei intravede questa rinascita?   L.W. Sicuramente il cinema italiano da due o tre anni circa ci ha riaperto il cuore alla speranza. Penso a Pane e Tulipani di Silvio Soldini, o proprio a Gabriele Muccino, ma anche alle Le fate ignoranti di Ferzan Ozpetek e ai I cento passi di Marco Tullio Giordana. Ma ci sono molti altri film che non hanno avuto successo a causa della pessima distribuzione, una delle grandi lacune del nostro cinema. Sono certa che se la gente avesse avuto modo di vedere film come lo spiritosissimo e delizioso La vespa e la regina di Antonello De Leo, avrebbe potuto apprezzarli. Ci sono pellicole che escono il venerdì santo, giorno in cui nessuno al mondo andrebbe al cinema e restano un week end soltanto. Anchio sono stata vittima di questo meccanismo, come pure è accaduto al grande Mario Monicelli. Girando per Roma ci si accorge che ci sono dieci al massimo dodici film nelle sale della città, mentre prima ce ne erano cinquanta.   Parliamo di lei, quali sono stati i suoi riferimenti culturali e quali i registi che ha amato di più?   L.W. Vivendo in una famiglia borghese (mio padre era un avvocato), ho cominciato ad occuparmi di teatro per caso e devo molto ad una mia grande amica che era Flora Clarabella. Mi hanno cacciato da undici scuole, ma in una di queste fortunatamente ho conosciuto Flora, che poi ha sposato Marcello Mastroianni. Ho iniziato per imitare questa amica più grande che faceva teatro. Ho avuto una base stanislavskiyana perché poi mi sono iscritta alla Accademia di Sharoff, un regista russo allievo di Stanislavskiy. Quando, dopo essermi occupata di teatro leggero, sono finalmente arrivata al cinema, sempre grazie a Marcello e a Flora, è stato Fellini a farmi scoprire limportanza dei voli pindarici della mente di un artista. Io da Federico ho imparato la misura della libertà assoluta. Federico anche nelle regole abbastanza dure, strette, finanziarie del cinema è riuscito sempre ad avere una grande libertà. Il periodo che ho passato al suo fianco è stato fra i più belli della mia vita. Lho sempre rimpianto al punto che gli dicevo spesso: Federico chiamami quando vuoi perchè io, per la gioia di starti vicino, torno a fare laiuto-regista. Fellini è il mio principale riferimento. Incontrare lui è stato come aprire una finestra e scoprire un paesaggio che non conosci.   Lei ha girato quasi trenta film, a quale e rimasta maggiormente legata?   L.W. E difficile rispondere a questa domanda, perchè li amo tutti come dei figli. É come se mi chiedessero qual e il figlio che preferisci, non saprei scegliere. Alcuni li amo per i loro difetti, altri per i loro pregi. Certo lultimo in questo momentoè forse quello più vicino al mio cuore. Ho appena finito di girare, con Sophia Loren, Giancarlo Giannini, Raul Bova e Claudia Gerini, il film Francesca e Nunziata, ambientato in parte nella penisola sorrentina, che andrà al Festival di Montreal il 25 di agosto.   Come e nata lidea del film?   L.W. Da un romanzo scritto da Maria Orsini Natale. Questa signora di Torre Annunziata dieci anni fa mi mandò un manoscritto senza avere nessuna garanzia da parte mia di dar vita ad un progetto cinematografico. Ho incominciato a leggerlo per caso e il giorno dopo lho chiamata per complimentarmi della sua scrittura. Così lho spedito subito a Sophia, dieci anni dopo lo abbiamo fatto.   Nessuna nostalgia per la coppia Melato Giannini protagonista nel passato di tanti suoi film?   L.W. E chi dice che prima o poi non si rifaccia la grande accoppiata!.