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I fantasmi di Hideo Nakata tra cinema,teatro… e commedia

Il regista giapponese gioca in casa al Tokyo Film Festival, dove presenta il suo ultimo horror. Una storia che lo riporta agli esordi.

26.10.2015 - Autore: Mattia Pasquini (nexta)
I suoi ultimi film non si sono visti troppo nel circuito regolare, ma Hideo Nakata negli ultimi anni ha continuato ad essere molto attivo. Tutti lo ricordano per il suo Ringu, capace di creare una vera ondata di J-Horror negli anni successivi, più che per il meno apprezzato Chatroom - I segreti della mente, o per i quasi inediti Monsterz o Inshite miru: 7-kakan no desu gêmu. E chissà se il nuovo Ghost Theater riuscirà a riportarlo all'attenzione del nostro pubblico. La storia costituisce una sorta di ritorno alle origini per il regista giapponese, che agli esordi aveva trattato una storia analoga in Don't Look up (Ghost Acctress, nella traduzione letterale del titolo originale), andando a scavare nel dietro le quinte di una produzione cinematografica - oggi teatrale - per rivelarne fantasmi e lati oscuri.


"Non c'è una connessione diretta tra i due film - puntualizza però Nakata, che abbiamo incontrato in occasione del Tokyo International Film Festival. - In comune hanno solamente il fatto di essere dei 'backstage horrors'. Don't Look up era ambientato durante le riprese di un film, stavolta si tratta invece delle prove di uno spettacolo teatrale. Ma entrambi guardano al mondo dello spettacolo…".

Nessuna connessione nemmeno nei personaggi? In un film che parla di bambole possedute, si potrebbe pensare che lei li consideri così…
C'era una battuta in Don't Look up che diceva che raccontare storie di finzione nei film finiva per ingenerare un senso di colpa negli attori e in chi lavora in questo campo. Per il non raccontare la verità. Questo creerebbe un gap tra realtà e fantasia che permette agli spiriti, ai fantasmi, di insinuarsi. Anche una bambola è un contenitore, vuoto al suo interno, dove fantasmi e creature diverse possono entrare, dando un'anima alla stessa. Che a questo punto diventa uno strumento per traghettarle. Un concetto che può adattarsi anche al vuoto della finzione, sia in un contesto teatrale sia in quello cinematografico, che permette così l'orrore, e questo tipo di paura.

Quindi gli stessi attori sono dei 'traghetti' per un regista? È stato così anche per lei?
Hitchcock aveva definito gli attori "Bestiame". Io non sono abbastanza coraggioso da dirlo forse, ma penso che in una situazione come questa, dietro le quinte, nella quale gli attori interpretano altri attori, gelosie e scatti emotivi sono normali, tanto sulla scena quanto nella vita. La protagonista Haruka Shimazaki nella realtà è una 'teen idol' molto famosa in Giappone, canta in un gruppo e in un certo senso è abituata a combattere per guadagnarsi un ruolo centrale. Le avevo detto che avrebbe dovuto portare questo tipo di esperienza professionale, e personale, nel ruolo che doveva interpretare. Non so se lei sia una bambola 'vuota', ma di certo queste sono state le specifiche indicazioni che le ho dato.

Aveva già fatto riferimento a un certo legame col cinema italiano, di Dario Argento, in questo film. In che senso?
Non intendevo dire di aver copiato Dario Argento, ma parlando di una giovane vittima immatura e inconsapevole, messa in una situazione spaventosa, era impossibile non pensare ai film di Argento; che è sempre stato un mentore per me, un maestro. Anche per la scelta di girare questo film in pellicola, e con colori vivi. I Gialli, i Rossi, i Blu… colori primari: sono stati una scelta importante per me. Come quella di renderli brillanti, come faceva Dario nei suoi film. Penso a Inferno, Phenomena, Suspiria… Sono diventati una specie di modello su cui basarmi, e li abbiamo guardati insieme al mio direttore della fotografia, non tanto per rubarne, ma sicuramente per trarne ispirazione.

Dopo aver girato crime movies, film sentimentali, torna all'horror. Perché non si è mai messo alla prova con la commedia?
Una volta avevo presentato il progetto di una commedia romantica a degli Studios di Hollywood, ma non se ne è fatto nulla. Guardando indietro però devo dire che non mi sono nemmeno arrivati progetti di commedia, in realtà. Sia in Giappone, sia da Oltreoceano. Mi piace guardare commedie, ma richiedono davvero una ottima tecnica per poter funzionare. Io credo di avere un certo dono nel catturare il momento giusto quando si tratta di paura o incertezza, ma forse non ce l'ho per quel che riguarda lo humor. Ricordo che in The Ring 2 il producer mi aveva chiesto di inserire una scena che sarebbe dovuta essere divertente, ma dopo averla girata decise di non utilizzarla. Nella mia vita di tutti i giorni, ridere è una parte importante, ma per qualche ragione non sembra funzionare bene nel mio lavoro.