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Frank Sinatra, “l'uomo insicuro dietro la leggenda” al Festival di Roma

Intervista al pluri-premiato documentarista Alex Gibney, che ha presentato alla Festa del Cinema il suo monumentale documentario Frank Sinatra: All or Nothing at All

Frank Sinatra: All or Nothing at All

20.10.2015 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
“Nella nostra professione, si dice che, se vuoi fare un film su una persona famosa, è meglio girare un biopic di finzione perché sicuramente troverai un grande attore che voglia interpretare il ruolo. Ma attenzione: bisogna evitare il biopic che racconta tutto, perché allora si resta in superficie”. Alex Gibney, acclamato regista di documentari pluri-premiati (ha vinto l'Oscar con Taxi to the Dark Side,  Emmy con Going Clear: Scientology e la prigione della fede, BAFTA con The Armstrong Lie e We Steal Secrets) che a Roma ha presentato il suo ultimo lavoro, una monumentale biografia televisiva (prodotta da HBO) di Frank Sinatra divisa in due puntate da due ore l'una. Frank Sinatra: All or Nothing at All è un approfondimento della figura pubblica e privata del più grande cantante pop di tutti i tempi, uno sguardo all'uomo e alla leggenda che ne racconta ascesa, caduta e resurrezione utilizzando filmati e interviste di repertorio, intervallati a interviste audio di parenti e collaboratori stretti. Abbiamo incontrato Gibney per una chiacchierata sul suo cinema e sul bisogno impellente del cinema di oggi di raccontare storie vere.

In questi giorni è uscito al cinema The Program, ispirato alla storia vera del campione di ciclismo Lance Armstrong, la cui vita lei ha ritratto nel documentario The Armstrong Lie. Sembra che ci sia un trend che vede seguire film di finzione a documentari di successo. È accaduto anche con The Walk di Robert Zemeckis, ispirato a Man on Wire e proiettato qui al festival. Che ne pensa?
È successo anche con lo Steve Jobs di Danny Boyle, che ha seguito il mio documentario Steve Jobs: The Man in the Machine. Naturalmente sto dalla parte dei documentari. Credo che Ben Foster sia un bravissimo attore e sospetto che abbia fatto un ottimo lavoro, ma penso che nessuno possa interpretare Lance Armstrong bene come Lance Armstrong. Questi film hanno un senso solo se riescono a entrare nella testa dei protagonisti, cosa che ovviamente non si può fare nei documentari. Però mi interessa di più vedere Edward Snowden in un hotel a Hong Kong che vedere un attore interpretare Snowden in un hotel a Hong Kong.


Sinatra in Da qui all'eternità, che gli valse un premio Oscar

Eppure credo che in All or Nothing at All entriamo davvero nella testa di Sinatra...
Certo, perché sentiamo parlare molto Sinatra in persona, spesso nelle conversazioni “fuori onda”. Lo sentiamo imprecare, è molto onesto e irriverente. Il punto è che, con il materiale giusto, puoi andare in profondità anche in un documentario, e in più hai davanti la persona vera.

Secondo lei, perché oggi sentiamo il bisogno di raccontare così tante storie vere sia nei documentari che nella fiction?
Una delle ragioni penso sia l'avvento di Internet e dei reality show. Siamo più interessati a vedere le persone vere come personaggi, e l'imprevedibilità della loro vita permette di aggirare le regole canoniche della narrazione. Quindi c'è un elemento di sorpresa che credo sia interessante per il pubblico.

Nel film non vediamo nessun membro della famiglia Sinatra intervistato in video, sentiamo solo l'audio. È stata una scelta precisa o è nata da una loro richiesta?
No, è stata una scelta. Li si vede solo nei filmati di repertorio, ma le interviste sono solamente audio per immergere lo spettatore in un momento nel tempo e nello spazio e accompagnarlo attraverso il secolo.

C'è l'uomo e c'è la leggenda. Come ha fatto a separare i due?
La leggenda è il personaggio di Colpo grosso, il membro del Ratpack. L'uomo è quello che va dalla donna che sarebbe diventata la sua prima moglie e le chiede se può fargli una manicure. L'uomo che fa il grosso con i suoi amici mafiosi, ma che nel privato è timido con la donna che ama. Credo che il mito superficiale di Sinatra come bel tenebroso sia potente, ma se scavi abbastanza scopri che era una persona molto insicura.


Colpo grosso

Mi ha colpito molto la parte sugli sketch razzisti messi in scena con la complicità di Sammy Davis Jr. Dopo tante lotte per l'affermazione dei diritti civili dei neri, Sinatra pareva essere caduto proprio negli stereotipi che voleva aiutare a cancellare. Perché, secondo lei, ha fatto quella brutta scelta?
Credo sia indice del suo non essere più al passo con la cultura. Cinque anni prima quelle battute sarebbero state liberatorie, perché menzionavano qualcosa che non poteva essere detto. Ma nei primi anni '60 se ne poteva ormai parlare, e quell'umorismo non faceva più ridere perché c'era gente che moriva nelle strade. Nel 1957, Eisenhower aveva ordinato l'intervento della Guardia Nazionale a Little Rock, in Arkansas, per sedare la rivolta nata dopo che alcuni studenti afroamericani si erano iscritti al locale liceo. Emmett Till era già stato assassinato. Quindi, a quel punto, lo “shock value” di quegli sketch era esaurito e sembravano solo irrispettosi.

C'è questa impressione che Sinatra si sentisse spesso un uomo fuori dal tempo, che non capisse la cultura dei giovani...
Per lui questo è iniziato intorno al 1960. Aveva ancora i suoi successi discografici, ma è quello il punto in cui inizia a diventare un uomo anziano e conservatore. È lampante nella relazione con Mia Farrow: lei era coinvolta negli Swinging Sixties, con Roman Polanski e Sharon Tate; lui cominciava a frequentare il generale Westmoreland, Spiro Agnew e Nixon. Il segreto di molte persone di successo è che sono profondamente insicure. Credo sia una delle ragioni che hanno spinto Sinatra a ritirarsi nel 1971, anche se in pensione non c'è rimasto molto. È come se la sua insicurezza avesse avuto la meglio, come se si fosse ritirato in modo che la gente lo pregasse di tornare. Scappi perché speri che mamma venga a riprenderti.

Nel film si dice che Sinatra era cinema, che quando cantava una canzone era in grado di raccontare un film in tre minuti. Pensa che la musica pop si sarebbe evoluta allo stesso modo se non fosse stato inventato il cinema?
Penso che il cinema abbia spinto la musica in una certa direzione. Non so se valga tanto per il rock'n'roll, perché in esso conta più il ritmo della “storia”.

Però anche nel rock c'è l'idea del concept album...
Sì, dischi come Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band o Tommy, che era certamente un'invenzione cinematografica. È vero, ha anche influenzato il rock. L'album assunse un'atmosfera cinematografica, era inteso come un singolo mood che ti coinvolgeva dall'inizio alla fine. Questa è la ragione per cui molti artisti piangono la scomparsa dell'album. Oggi si usa molto ascoltare i brani in maniera casuale, anziché immergersi in un mood per sessanta minuti.


Sinatra e Ronald Reagan

Questo è un documentario televisivo. Che differenza c'è nell'approcciare uno stesso contenuto per il cinema e la TV? È solo una questione di durata o c'è anche altro?
È principalmente una questione di durata. Il bello della televisione è che con la serialità si può approfondire molto di più, mentre al cinema hai a disposizione 90 o 120 minuti, che possono risultare costrittivi. Da un punto di vista visivo l'approccio non cambia, perché, con l'evoluzione dell'home cinema, ormai a casa si può vedere un film in condizioni migliori che nella multisala locale, magari su uno schermo piccolo e col sonoro che fa schifo.

Tempo fa abbiamo scritto una recensione di Going Clear, il suo film su Scientology, e siamo stati contattati da Scientology nei commenti dell'articolo, dove ci hanno chiesto di scrivere un secondo pezzo riportando il loro punto di vista. Ha ricevuto molti attacchi o pressioni dopo l'uscita del film?
Un sacco. Centinaia di lettere dai loro avvocati e tantissime minacce di cause legali, che però finora non si sono concretizzate. Hanno scritto molte lettere a me personalmente, mandato delegazioni, ingaggiato detective privati e montato documentari su di me e molte delle persone che hanno preso parte al film, Paul Haggis incluso, calunniandoci. La reazione è stata molto forte. E non è assurdo chiedere al recensore di un film di rispettare la par condicio? Mica ha fatto lui il film!

Un'ultima domanda, che è più una curiosità: ha mai visto Frank Sinatra dal vivo?
Mai. A essere sincero, prima di iniziare il film non lo apprezzavo come adesso, perché ora conosco la sua storia. Ricordo che anni fa stavo preparando un documentario televisivo sulla musica degli anni '50 e l'ascesa di Elvis Presley. Il suo primo grande successo, That's All Right Mama, all'epoca fu bandito da molte radio perché suonava troppo “black”. Ma alle mie orecchie, oggi, suona come un brano country, per nulla black. Perciò sono dovuto tornare indietro nel tempo, ascoltando molti brani che passavano nelle radio di allora per contestualizzarlo e sentire la differenza. Allo stesso modo, con Sinatra ho dovuto capire da dove veniva per capire la sua musica e, quando l'ho fatto, improvvisamente è diventata potentissima.