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Camelia Jordana: "Le parole sono importanti", anche in Francia!

Al fianco di Daniel Auteuil, è la protagonista di Le Brio, il nuovo film di Yvan Attal a novembre anche in Italia.

19.06.2018 - Autore: Mattia Pasquini, dal Biografilm di Bologna
A 25 anni Camelia Jordana è diventata l'Attrice più promettente dell'anno per i giurati dei Premi Cesar francesi, grazie alla Neïla Salah che interpreta nel nuovo film di Yvan Attal, Le Brio (che dopo il passaggio al Biografilm Festival di Bologna arriverà nelle nostre sale nella prossima stagione, distribuito da I Wonder Pictures), ma avevamo già conosciuto la giovane artista nel 2017, con Due sotto il burqa di Sou Abadi.

In realtà Camelia era già nota ai più come cantante, con due album all'attivo e una interessante partecipazione al talent show Nouvelle Star, ma è sullo schermo che sembra riuscire a dare vita a personaggi ai quali tiene particolarmente. Come quello della giovane studentessa delle multietniche banlieues parigine che sogna di diventare avvocato e che, iscrittasi all’autorevole Scuola di Legge Assas di Parigi, si scontra subito con il professore interpretato da Daniel Auteuil finendo poi con il condividere con lui la preparazione a un prestigioso concorso di retorica. Imparando da lui - e insegnandogli - a superare i propri pregiudizi…



Un tema importante per l'attrice nata a Tolone da genitori di origine algerina (proprio come Auteuil), sul quale torna volentieri offrendoci i suoi consigli contro l'intolleranza e la regola aurea seguita in questi primi venticinque anni di vita… Oltre a raccontare "una generazione sempre più open minded", la sua, e la Francia stessa! a partire - ovviamente - da Le Brio:

Dopo il film di Abadi, lavorare con Auteuil sembra un sogno… Come ci sei arrivata?
È stato stranissimo, perché Yvan Attal mi ha offerto il ruolo prima ancora che potessi leggere lo script! Poi, per parecchio tempo nessuno mi ha più fatto sapere niente, tant'è che mi ero rimessa a lavorare al mio album. Fino a che, mesi dopo, il mio agente mi ha chiamata per dirmi che ci saremmo visti il giorno dopo con il responsabile del casting per un provino. Così finalmente ho incontrato Yvan Attal, e il giorno seguente Daniel, perché il regista ci voleva vedere insieme. Prima ancora di sapere di cosa si trattasse ero già entusiasta, per la possibilità di lavorare con Auteuil. È una figura molto importante per me, per la mia cultura. Ma tra i motivi che mi hanno convinto c'è stata anche la vicinanza al personaggio di Neïla, la volontà di difendere la sua storia, i suoi valori, la sua forza e il fatto che non molla mai, fino a ottenere quel che vuole.

Nel film si punta molto sull'importanza del linguaggio e sulla forza che hanno delle parole… ma ancora ne hanno?
Certo! Anzi, credo che poche volte come in questo periodo abbiano avuto tanto potere. Semmai sono gli argomenti che cambiano nel tempo. Oggi basta un tweet per rovinare la carriera di migliaia di persone, ma credo che le parole abbiano sempre avuto questa forza. A volte persino eccessiva, per le conseguenze che determina. Il fatto è che oggi sembrano essere i grandi numeri ad avere più potere delle parole, anche se si dicono sciocchezze. Una follia, ma questi sono i nostri tempi.

Forse ci sarebbe bisogno di una maggior educazione a usare bene le parole, sin dalla scuola?
In Francia esistono davvero gare come quella che mostriamo nel film, anche se allo stesso tempo ci sono dei ragazzi che non studiano più il francese, e si vede dagli errori che fanno scrivendo. Vivono il prendere buoni voti come qualcosa di cui vergognarsi. Credo però sia una minoranza, la nostra generazione semmai è molto orgogliosa del proprio livello di familiarità con la tecnologia, e insieme credo sia decisamente consapevole della forza che ha il linguaggio, anche quando si tratta di un dialetto.

In che senso?
Ricordo che quattro anni fa, quando sono arrivata nel diciottesimo arrondissement, nel Nord di Parigi, frequentavo degli amici che ho iniziato a capire solo dopo tre mesi che stavo lì. In tutto quel tempo ho avuto bisogno di un amico che mi traducesse i discorsi che facevamo. Era come nel film, una gara continua a trovare la frase migliore, la parola più strana da inserire nel contesto nel modo più buffo possibile. Credo che in Francia, anche se non sempre nel miglior francese possibile o nei contest universitari de La Sorbonne e via dicendo, ci sia questa 'cultura delle parole'.

È una percezione che ti hanno confermato gli studenti dell'Università Panthéon-Assas durante le riprese?
Dipende… Alcuni di loro erano molto orgogliosi che si girasse un film nel loro istituto e su studenti come loro, ma alcuni ne erano soprattutto sorpresi, perché il film raccontava il tentativo di cancellare la nomea della scuola di essere fascista o reazionaria. Ma da noi ogni partito o corrente ha un suo punto di vista, e ancora di più in una scuola come quella, fatta per preparare alla professione legale. Tutti però hanno cercato di divertirsi, a prescindere. Qualcosa di molto francese...

Dopo il talent show Nouvelle Star oggi te la vedi con la critica cinematografica, che effetto ti fa essere giudicata?
Da un punto di vista 'pubblico', non mi interessa. Semmai quello che mi interessa è di non deludere le persone che amo. Ma sono abituata a chiedere talmente tanto a me stessa che in genere ciò che io considero 'minimo' è almeno di buon livello. Perché sono abituata a lavorare molto, sempre, a impegnarmi in tutto quello che faccio. Non accetto, e non consento a me stessa di presentare agli altri un qualsiasi materiale - che sia musica, un film, un personaggio, un discorso, etc. - se non è più che valido. Me ne vergognerei altrimenti.

Che ne pensi dello scontro culturale al centro del film?
Credo che oggi in Francia ci siano molti terreni di scontro, non solo quello culturale. E forse il fatto che ci sia stato un picco, drammatico, qualche anno fa, ha fatto sì che molta gente abbia avuto il tempo di reagire, di organizzarsi, incontrarsi, creare nuove strutture, associazioni che potessero ispirare gli altri o permettere di confrontarsi e parlare gli uni con gli altri. Ed è un bene che in tanti lavorino in questo senso.

E come si riconosce il limite tra provocazione costruttiva e un'atteggiamento discriminatorio, come nel film?
Penso sia una questione di maturità. Se prendi tutto sul personale, non avrai mai la maturità di capire cosa ti può far crescere, quel che può avere un valore per te, per quanto 'diretto' sia chi ti affronta. Non sempre sei tu la causa dell'aggressività e delle frustrazioni altrui, e credo che l'importante sia accettarlo e trovare quello che ciascuno può darti. Vale la pena di fare lo sforzo di lasciar correre e guardare oltre, dietro l'apparenza. C'è chi si lamenta di tutto, chi odia il mondo, chi ti parla con sarcasmo o con fin troppa sincerità, ma in definitiva dipende dalle sensazioni che ti danno le persone.