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Vincere - La nostra recensione

E' un film di impatto visivo ed emotivo inauditi, che abbaglia nella sua forma ed è capace di rapire l'emozione dello spettatore con una sola inquadratura.

Vincere

19.05.2009 - Autore: Adriano Ercolani
Marco Bellocchio è senz’ombra di dubbio il miglior autore di cinema presente in Italia da almeno un decennio a questa parte.

Il percorso iniziato con “La balia” (id., 1998) lo ha portato ad una successione di pellicole di fattura ed importanza forse non propriamente messe a fuoco dalla critica italiana. Bellocchio è l’unico regista capace di ragionare sulla storia e sulla società italiana filtrandole attraverso una visione personale di quello che è il nostro immaginario. Capolavori come “L’ora di religione” (id., 2002) o “Buongiorno, notte” (id., 2003), ed anche un film più impervio ed ipnotico come “Il regista di matrimoni” (id., 2006), riflettono la volontà precisa di analizzare il nostro tessuto socio-politico e restituircelo attraverso l’opinione specifica dell’autore, discutibile quanto si vuole ma nitida, specifica, disposta al dibattito.



Con “Vincere” Bellocchio sembra voler compiere un altro passo avanti rispetto ai suoi lavori immediatamente precedenti, e tenta di costruire una forma filmica che si adatti alla storia ed ai personaggi che ha scelto di raccontare. Ed ecco che il melodramma incentrato sulla figura di Ida Dalser, moglie segreta di Benito Mussolini, rinnegata dal dittatore insieme al proprio figlio, segregata in manicomio fino alla fine dei suoi giorni, viene messa in scena secondo un canone estetico che lo steso Bellocchio ha definito più volte “futurista”; ed ecco quindi montaggio analogico, sovrapposizione di immagini di repertorio, musica evocativa e ridondante.



Già il coraggio di realizzare un lungometraggio secondo queste direttive estetiche non può che testimoniare il valore intrinseco di “Vincere”. Certo, l’architettura della pellicola non risulta sempre facilmente accessibile, e soprattutto nella primissima parte alcuni momenti risultano poco scorrevoli, eccessivamente “costruiti” a livello propriamente cinematografico.
Bellocchio è però anche straordinario costruttore di personaggi, ed ecco quindi che in moltissimi punti basta un semplice sguardo di un perfetto Filippo Timi e restituirti la vita interiore ed i dilemmi esistenziali di Mussolini; oppure la stessa Mezzogiorno, qui molto più incisiva che in altre interpretazioni a nostro giudizio sopravvalutate, riesce a fulminare lo spettatore con un’occhiata carica di giusta e dolorosa indignazione. Il regista poi costruisce tutto un universo metacinematografico che in alcuni momenti impreziosisce il film, e non di poco: la storia del fascismo viene scandita dai cinegiornali in sala, e nella scena più bella di tutto il film Ida si commuove vedendo uno dei capolavori immortali della “Settima Arte”, “Il monello” (The Kid, 1921) dell’immortale Charlie Chaplin.



Anche se non perfetto nella costruzione – ma era impossibile vista la stessa natura del film, o meglio la sua costruzione interna scelta da Bellocchio – “Vincere” è comunque un film di impatto visivo ed emotivo inauditi, che abbaglia nella sua forma ed è capace di rapire l’emozione dello spettatore con una sola inquadratura. Marco Bellocchio continua ad essere uno sperimentatore, un costruttore di cinema contraddittorio e preziosissimo, e merita a nostro avviso di essere annoverato tra i grandi autori del nostro tempo.

Per saperne di più

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