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Un giorno di ordinaria violenza

Il primo film italiano a concorrere per il Leone d'oro di Venezia, Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek, ha deluso le aspettative tra fischi e pochi applausi.

un giorno perfetto Venezia

30.08.2008 - Autore: Maria Vittoria Galeazzi
La violenza del racconto scuote il pubblico ma lo delude con un parallelismo di storie totalmente slegate e forzatamente commoventi. Con “Un giorno perfetto”, adattamento dell’omonimo romanzo di Melania Mazzucco, il regista Ferzan Ozpetek si discosta dai toni usuali delle sue rappresentazioni per affrontare un dramma sanguinario e di estrema fisicità. Il regista abbandona la pacatezza espressiva con la quale ha saputo raccontare piccole tragedie sentimentali riconoscibili e quotidiane, per affrontare la messa in scena di un amore folle tra due personaggi mossi da un’istintività malata.

Una coppia di attori di sorprendente bravura, Valerio Mastrandrea e Isabella Ferrari, sostengono con intensità la storia centrale, emozionando e tenendo col fiato sospeso in un susseguirsi di eventi che tracciano una sorta di thriller psicologico. L’instabile equilibrio mentale di un uomo rifiutato dalla moglie e allontanato dai figli porta alla violenta distruzione dei rapporti familiari: la gelosia e il subìto abbandono alimentano una  passionalità fuori controllo. L’odio e il desiderio reduci di un amore finito e sofferto macerano una sessualità soffocata che sfocia in una feroce violenza.

Purtroppo la scelta di sviluppare contemporaneamente altre vicende, delineando superficialmente personaggi collaterali dalla presenza ingiustificata, ha un effetto deleterio sul film nella sua totalità. Un errore di fondo a livello narrativo rende controproducente il voler allargare i temi della storia principale ad altre situazioni problematiche, del tutto sconnesse dalla prima e raccontate con una pomposità irritante.

Ozpetek ha voluto rischiare sperimentando la messa in scena di una storia non sua, forse talmente lontana dalle sue corde da portarlo allo smarrimento dell’equilibrio tra le parti. Orfano di quell’emotività corale e armonica psicologia d’insieme che ha distinto i suoi precedenti film, il regista disorienta l’attenzione dello spettatore focalizzandosi su personaggi, momenti e particolari del tutto inutili, perdendo le redini cognitive sul proprio racconto. “Un giorno perfetto”, come spesso e mal volentieri succede nelle narrazioni made in Italy, è congestionato dall’eccessiva sovrapposizione di drammi familiari, questioni sociali e crisi esistenziali. Le troppe fittizie emozioni lasciano naufragare il pathos della storia insieme alla vana speranza di applaudire il cinema italiano a Venezia.