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Un genio di nome Roman

Retrospettiva sul grande autore Roman Polanski alla 26^ edizione del Festival di Torino che ripercorre la carriera del regista di capolavori come "Chinatown", "Frantic" e "Il pianista"

TorinoFilmFestival

23.11.2008 - Autore: Adriano Ercolani
 

Si è cominciato con “La morte e la fanciulla” (The Death and the Maiden, 1994), pellicola interpretata dal trio Sigourney Weaver/Ben Kingsley/ Patrick Wilson, da molti ritenuta “minore” ad invece assolutamente compita nel suo essere un dramma da camera claustrofobico ed estenuante, rinchiuso in uno chalet sulla scogliera dove si consuma il destino dei tre personaggi, legati da un passato di violenza e soprusi. Durissimo, superbamente interpretato dai tre grandi attori, “La morte e la fanciulla” è un film perfettamente polanskiano nel senso di assedio che viene suscitato nello spettatore grazie all’incredibile capacità del cineasta di rendere gli interni di una casa come un protagonista opprimente e potentissimo.

A testimoniare questa grandiosa capacità del regista la proiezione del suo primo, inimitabile capolavoro, “Repulsion” (id., 1965), anch’esso praticamente ambientato dentro l’appartamento di un palazzo dove si consuma la follia di una ragazza ossessionata dai propri turbamenti sessuali, che la portano ad identificare il maschio come l’oggetto proprio orrore. In questo film densissimo il simbolismo dell’inconscio di una grandiosa Catherine Deneuve si fonde alla perfezione con l’idea di messa in scena di Polanski, straordinariamente virtuosa per il periodo in cui il film è stato girato ma allo stesso tempo assolutamente coerente con il tema trattato, mai esagerata seppur visivamente carica. “Repulsion” è un lungometraggio epocale, angoscioso come pochi altri nella storia del cinema, strameritatamente premiato al Festival di Berlino col Leone d’Argento.     

Il terzo film presentato a Torino di Polanski, con egli stesso presente in sala a raccontarlo, è stato uno dei più grandi noir della storia del cinema “Chinatown” (id., 1974), scritto da Robert Towne ed interpretato da un Jack Nicholson all’apice della propria potenza espressiva. Pur essendo un’opera dal fascino estetico indiscutibile e dalla sceneggiatura praticamente perfetta pur nella sua inestricabile articolazione, si nota però che il lavoro americano di Polanski è in qualche modo più “freddo”, più studiato a tavolino rispetto ad esempio a “Repulsion”. E questo fa di “Chinatown” un film ancora più affascinante, perché più distaccato e calligrafico rispetto all’altro, eppure assolutamente ipnotico, impossibile da decifrare nella sua confezione algida e dalla bellezza inebriante. Insomma, un film intramontabile nel suo essere fuori da ogni schema , da ogni epoca di cinema, “Intoccabile” propri nel suo essere un oggetto statico, fuori dal tempo, da ammirare quasi senza bisogno di comprenderlo fino in fondo.