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Torino tra indipendenza e genere

Tre le pellicole visionate oggi al Festival di Torino citiamo il lungometraggio "Lake Tahoe" del messicano Fernando Eimbcke.

Lake Tahoe

25.11.2008 - Autore: Adriano Ercolani
Tre le pellicole visionate oggi al Festival di Torino, opere degne di menzione in quanto tutte testimoni di quanto il cinema internazionale si stia confrontando con meccanismi di struttura narrativa che, poggiandosi sui generi, provano ad inserire al loro interno idee e poetiche più personali.
Il lungometraggio più interessante della giornata è stato senza dubbio il messicano “Lake Tahoe” (id., 2008), diretto da Fernando Eimbcke e già presentato con discreto successo di critica all’ultimo festival di Berlino. Dietro il racconto cadenzato e quasi surreale della giornata di un adolescente che deve riparare la sua automobile in seguito all’incidente di auto che ha causato, il regista nasconde un prodotto dalla sensibilità molto più profonda di quanto ci si poteva aspettare: delicato nel tono del racconto, capace di far sorridere con lampi di comicità semplice ma efficacissima, “Lake Tahoe” dimostra pienamente come anche un’idea di cinema pienamente autoriale possa inserirsi con successo su storie funzionali e soprattutto capaci di lavorare in profondità sulle psicologie e lo spessore emotivo dei personaggi.

Lo stesso riesce a fare il film indipendente americano “Gigantic” (id., 2008), diretto da Matt Aselton ed interpretato dalle giovani promesse Paul Dano e Zooey Deschanel, oltre che da un gruppo di comprimari inimitabile come John Goodman, Ed Asner e la rediviva Jane Alexander. Spiritoso e costellato da una serie di figure sempre in bilico tra il surreale ed il realistico, il film di Aselton sfrutta con sapienza tutti gli stilemi già conosciuti del cosiddetto cinema “indie” statunitense, arrivando a confezionare un prodotto efficace anche se non particolarmente originale, che si muove solido sui binari di una storia ben scandita, anche se “condita” con sotto-trame non sempre ben definite. Merito comunque degli attori se il film riesce a convincere il pubblico.

Più orientato verso lo sfruttamento preciso del genere è poi il britannico “The Escapist” (id., 2007) di Rupert Wyatt, dramma carcerario che vede protagonisti un gruppo di attori britannici di sicuro affidamento come i caratteristi Brian Cox, Lima Cunningham e Joseph FIennes, a cui si aggiunge un malvagio e convincente Damien Lewis.
Il riferimento principale per questa pellicola sembra essere la serie di culto di qualche anno fa “Oz”, ma il regista no risparmia neppure alcune citazioni cinematografiche come ad esempio lo sfolgorante “Collateral” (id., 2004) di Michael Mann. Il prodotto è tutto sommato riuscito, ha buon ritmo narrativo e mantiene quindi la tensione sempre piuttosto alta. Anche in questo caso non stiamo parlando di un prodotto di originalità smodata, ma comunque godibile se inserito all’interno di un discorso di genere sapientemente sfruttato.