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Terminal Venezia

Si ride con piacere mentre scorrono veloci le due ore e dieci di "The Terminal". Si ride con trasporto per la genialità di un Tom Hanks sempre più istrione, sempre più creativo. Ed è Spielberg stesso a riconoscere i meriti di questo attore che non smette di crescere.

The terminal

12.04.2007 - Autore: Leonardo Godano e Matteo Nucci
Pioggia scrosciante su Venezia. Il freddo è arrivato subito. Mentre, all’imbrunire, si accendono di rosso le colonne dei sessanta vincitori del Leone d’Oro di fronte al Palazzo del Cinema, un inverno improvviso vela di malinconia l’anteprima della 61esima edizione. Pozzanghere sui lavori ancora in corso per aprire gli stand di una mostra che si preannuncia spensierata e travolgente,affollata di star, profumata di leggerezza in stile anni’30. Poco lontano l’hotel Des Bain s’immerge in un’atmosfera decadente più alla Thomas Mann che alla Hollywood, ma in Sala Grande è già commedia.   In periodi di crisi, raccontava poco fa Spielberg, Hollywood può offrire vie di fuga, non con un senso di rinuncia ma per una delle possibilità offerte dal cinema in quanto tale. E che via di fuga! Si ride con piacere mentre scorrono veloci le due ore e dieci di ”The Terminal”. Si ride con trasporto per la genialità di un Tom Hanks sempre più istrione,più creativo. È Spielberg stesso a riconoscere i meriti di questo attore che non smette di crescere: gag improvvisate, un linguaggio del corpo irresistibile, silenzi più espressivi di qualsiasi suggerimento da copione. Hanks spadroneggia in questa commedia in puro stile Frank Capra.   Viktor Navorski è vittima di una falla nel sistema burocratico di visti e ingressi concessi agli stranieri in terra statunitense. ‘Inaccettabile’.Costretto a fermarsi nel limbo del Terminal. Viktor coltiva un sogno,però. E per quel sogno non rinuncia ad aspettare. Aspettare, questa la parola d’ordine. Quello che in parte accomuna Viktor a una hostess che s’incontra spesso nel microcosmo del JFK: Amelia Warren, ossia Catherine Zeta-Jones. Ma non aspetta per rinunciare, Viktor, e il suo sogno non deve restare tale. Nel frattempo, la vita all’interno del JFK apre mondi inaspettati. Chi lavora nel terminal (dai custodi ai poliziotti, dagli impiegati ai commessi, dagli addetti alla pulizia a uomini dal passato inconfessabile) diventa velocemente la grande famiglia di Viktor.   Uno strepitoso Stanley Tucci nella veste dell’antipatico burocrate accompagna Hanks come suo contraltare,‘una sorta di Tom e Jerry’ spiega Spielberg e lo segue fino al gran finale con un misto di risentimento e ammirazione, come solo si può provare per una parte nascosta di sé. Ma quel che colpisce nel film sono le geniali sfumature che Hanks sa dare al suo personaggio, lasciandolo rimbalzare fra le mura del Terminal come fra le personalità di chi lo accompagna nel suo spirito di adattamento, nell’imparare l’inglese, e nel non rassegnarsi.   Spielberg e Hanks applauditissimi hanno gigioneggiato. Nessuna preferenza da accordare a un genere. Loro amano il cinema, non i generi. Ma amano divertire e divertirsi ­ non c’è dubbio. E se la ridevano sotto i baffi mentre un giornalista cileno chiedeva se non fosse in programmazione un ‘Salvate il soldato Bush’ in cui nessuno però viene a salvarlo. Hollywood offre vie di fuga, appunto. E la fuga non è mai una rinuncia. Così si è aperto il festival della leggerezza.
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