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Rabbit Hole: incontro con Aaron Eckhart

L'attore giunge a Roma per presentare il nuovo film di John Cameron Mitchell, in cui recita a fianco di Nicole Kidman nei panni di un padre che ha perso il figlio piccolo. Con noi parla di lutto e dell'arte della recitazione

Festival di Roma - Aaron Eckhart

02.11.2010 - Autore: Marco Triolo
“Questo non è un film di Nicole Kidman o Aaron Eckhart. E' un film su due persone che cercano di comprendere la perdita”. Mr. Eckhart ha le idee molto chiare quando si parla di “Rabbit Hole”, film di John Cameron Mitchell che l'attore ha presentato al Festival di Roma. Della pellicola, tratta da una piece teatrale di David Lindsay Abaire che lo stesso autore ha adattato per il grande schermo, avevamo già parlato in dettaglio nella nostra anteprima. La storia è quella di una coppia di genitori, Becca e Howie Corbett, e del loro tentativo di affrontare la vita giorno per giorno dopo la tragica scomparsa del figlio piccolo. La pellicola di Mitchell si affida prevalentemente sul lavoro di due interpreti eccezionali, capaci di infinite sfumature e di comunicare anche solo con un sguardo o uno scatto di nervi. Da questo emerge la natura teatrale del lavoro originale, e alla fine grazie a Eckhart e alla Kidman non ci si annoia. Ma purtroppo Mitchell, brillante autore di “Shortbus”, non aggiunge molto altro al tema, anche se tratta tutto con la necessaria agilità in modo da non rendere troppo pesante un film che già tratta argomenti durissimi.

“Ho imparato che cose come queste sono molto dolorose e durano tutta la vita – spiega Eckhart – e quindi vanno trattate con rispetto”. Mentre il regista ha perso un fratello da piccolo e comprendeva dunque da vicino la tematica, l'attore per fortuna non ha dovuto sperimentare il lutto di persona: “Per capirlo ho frequentato un gruppo di sostegno. Sono entrato lasciando credere di essere un padre in lutto, ma poi non sono più tornato perché credo non sia una cosa etica”. Ad aiutarlo è arrivata in soccorso la tecnologia: “Su internet ho trovato videoblog di persone che raccontano il loro dolore dopo la perdita dei cari. E' molto più facile recitare quando si hanno questi riferimenti”.

Affabile e decisamente non refrattario alle domande, Eckhart ha però ammesso: “Non parlo molto di me perché credo che se un attore rivela troppo di se stesso perde la capacità di stupire”. E ricorda il suo collega Heath Ledger: “Quando lavoravamo a 'Il cavaliere oscuro', Heath ci ha stupito tutti per la sua totale libertà, ed è questo che fa un attore. Io non arrivo ai suoi livelli, ma ci provo. Lui ci ha sorpreso raggiungendo qualcosa che molti attori non raggiungono”. Per superare se stessi è comunque fondamentale scegliere bene con chi si lavora: “La gente a Hollywood si vanta di poter recitare davanti a un albero, una roccia, uno schermo verde. Ma non puoi recitare bene finché non reciti davanti a qualcuno e ne senti l'energia. Quando fai un film, tutti si preoccupano che tu abbia dei pasti decenti e una bella roulotte. Ma quello che conta davvero è dare l'anima in quello che si fa”.