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Niente orchidee - intervista ai Fratelli Godano

Presentato Fuori Concorso a Venezia, il corto interpretato da Beppe Fiorello è un coraggioso tentativo di buttarsi nel fare cinema, evitando la trafila impossibile di infiniti negoziati. Presto ci sarà il film

Simone e Leonardo Godano

05.09.2010 - Autore: Pierpaolo Festa, nostro inviato al Festival di Venezia
Beppe Fiorello è Filippo, un uomo arrivato al capolinea. Padre di una bambina della quale presto avrà piena custodia, gestisce un bar in cui il caffè è tutt’altro che bevibile. Perché il suo posto di lavoro è in realtà una stazione di scambio controllata da personaggi di cui è meglio non circondarsi. Uomini spietati pronti a comprare l'anima della gente, per poi mettersela in tasca per sempre. La vita del protagonista scorre tra tante difficoltà, ma niente è paragonabile a quei momenti in cui il suo telefono squilla nel cuore della notte per essere convocato ad alzare la saracinesca, aprire il freezer e metterci dentro un corpo in attesa che i camorristi lo facciano sparire.

Tutto questo è “Niente orchidee”, cortometraggio diretto dai Fratelli Godano, presentato nella sezione Controcampo Italiano al Festival di Venezia 2010 e abbinato a “I baci mai dati" di Roberta Torre. Nelle parole del protagonista “il tentativo di evitare tutta quella infinita trafila di trattative con i produttori per proporre loro un film. Noi abbiamo girato questo corto, un prodotto già pronto che speriamo considerino per farlo diventare presto un lungometraggio”.

Faremo certamente il lungometraggio” – ribattono sicuri i Fratelli Godano - E speriamo che il cast e la troupe siano gli stessi. Beppe Fiorello è un grande attore, un vero professionista. Volevamo qualcuno che non avesse mai girato un corto, quando glielo abbiamo proposto si è emozionato, è rimasto sorpreso, ci ha detto ‘io non ho mai fatto un corto, nemmeno me lo hanno mai proposto'. Non potevamo fare scelta migliore”. Insieme all’attore c’è Valeria Solarino nei panni dell’unico personaggio che rimane al fianco protagonista e che ha il coraggio di illuminargli la strada verso la salvezza: “Valeria è la timidezza fatta persona. Ha un volto che nessun altra ha. Non capiamo perché non faccia lei tutti i film italiani”.

Raccontateci la genesi del corto…
Simone Godano: Abbiamo subito deciso di girare una storia scritta da altri. Crediamo che in questo momento sia fondamentale uscire un po’ dalle “ego-turbopippe” da regista e confrontarsi con un testo non tuo. E a noi è andata bene, sia perche Valerio Attanasio e Sydney Sibilia hanno scritto una storia bellissima, sia perché ci siamo mossi con disinvoltura in un testo non nostro.

Cosa volevate raccontare?

Leonardo Godano: Volevamo fare più un piccolo film che un corto. Siamo partiti dalla location del bar. Poi abbiamo dato una struttura al tutto - ambientazione, colori, i temi affrontati, la solitudine del protagonista. Volevamo realizzare un qualcosa che si allontanasse dai soliti corti fini a se stessi. Abbiamo anche cercato di rendere meno a effetto possibile il colpo di scena finale. Ci piace quando ci dicono che vorrebbero sapere cosa succede dopo.

Come avete sviluppato questo personaggio?

L.G.: A Beppe piaceva il lato oscuro del protagonista. Lui è un uomo solo che soffre a dire alla propria figlia che la ama e che preferisce respingerla per tenerla al sicuro. È come un’onda. Si muove tra il bene e il male. E’ un uomo sfuocato.

Come pensate che si evolva la storia?
L.G.: Ne stiamo parlando. Speriamo che il corto diventi un film. Stiamo iniziando a scrivere. Avrà una struttura temporale tra “Lost” e i film di Tarantino. Il corto è una specie di prologo. C’è il passato di Beppe, il rapporto con la moglie e il suo arresto. L’uscita dal carcere, il bar e il ricatto. La vendetta in stile Edmond Dantes conte di Montecristo.

A chi vi ispirate?
S.G.: Non solo ci ispiriamo. A volte si copia pure. Fellini diceva che Woody Allen copiava tutti i suoi film. Noi amiamo Nolan, i Cohen, Luhrman, Gondry, Cuaron e Inarritu e naturalmente Sorrentino e Garrone. Nel 2010 hanno vinto Jacques Audiard e Fatih Akin. In Italia uno che dopo “La Sposa Turca” fa “Soul Kitchen” verrebbe massacrato, mentre un progetto come “Il Profeta” non troverebbe produttore e distributore. Da noi vince il David “Dieci inverni” e non “La Doppia ora”. Qualcosa di sbagliato c’è…

Come lavorate in coppia?
S.G.: Bene, abbiamo la stessa sensibilità, gli stessi gusti e la differenza d’età crea più equilibri che squilibri. Poi col tempo ci siamo definiti i ruoli. Io sono più concentrato sulle riprese e il set, Leo alla parte organizzativa e produttiva. Un pò come Joel (regista) e Ethan (produttore)... magari!